domenica 16 agosto 2009

I frutti rossi dell'estate (Ta rotinà kalocernà)

Ogni tanto sentiamo alla televisione che per stare meglio sarebbe bene fare attenzione a quello che mangiamo, e questo certamente è vero.
Una delle cose più risentite è che ogni frutto colorato di rosso ci fa bene. Questo perché i frutti rossi contengono certe molecole che si chiamano “carotenoidi”, “polifenoli”,“flavonoidi” e altre. Molti scienziati credono che queste facciano bene perché proteggono il nostro organismo dal danno causato dallo stress ossidativo, che è alla base di molte malattie come l’aterosclerosi, il cancro, il diabete e anche lo stesso invecchiamento.
Dobbiamo dire che questo è stato dimostrato in laboratorio, ancora sono poche le prove fatte “in vivo” (sulle persone).
L’estate riempie di rosso i campi e i pochi boschi rimasti nelle nostre terre, vediamo dunque cosa possiamo mangiare per stare bene.
Forse fra i frutti rossi i più famosi sono le ciliegie, le fragole e i frutti di bosco come le more di rovo. Fra queste la fragola è quella che è più ricca di molecole che possono proteggere dal cancro e mantenere aperte le arterie dove scorre il sangue.
Peccato che oggi quelle che si vendono sono spesso anche piene di veleni che mettono per farle crescere. Meglio mangiare quelle che vengono dall’agricoltura biologica o addirittura coltivarle noi stessi.
Bel colore hanno anche i pomodori ed i meloni, anche i cocomeri (meloni saraceni). Questi sono ricchi di “licopene”, un’altra molecola che protegge dallo stress ossidativo e che viene assorbita bene dal nostro intestino, meglio se viene cotto il frutto (come succede con la salsa di pomodoro). È uscito uno studio scientifico che ha dimostrato come il licopene possa proteggere dal cancro della prostata.
Giovamento può venire anche dai peperoni, quelli piccanti contengono “capsaicina”, che dicono possa aiutare a bruciare i grassi. Sembra anche che possa essere di aiuto nella terapia del dolore come quello del fuoco di Sant’Antonio.
E dopo l’estate? Alcuni colori restano anche d’inverno: le arance, le mele fanno molto bene, e poi bisogna ricordare che anche le verdure che non sono colorate fanno bene: sappiamo che i cavoli proteggono dal cancro.Infine non dimenticate che non basta mangiare rosso, chi fuma perde tutti i vantaggi che gli possono venire dai frutti rossi!

Francesco Penza

venerdì 14 agosto 2009

Macinato Grosso (Xrondò alemmèno)

C’era un volta sotto (verso) Borgagne una famiglia che abitava in una masseria denominata “I Santi”. Questa famiglia proveniva da Martano ed erano molti anni che risiedeva in quella masseria.
In quei tempi malte famiglie andavano nelle masserie per aiutare i massari. Restavano lì tutta l’estate: raccoglievano i cereali e tutte le provviste. Allorché cominciava ottobre si ritiravano nel loro paese.
Uno di questi prestatori d’opera aveva un figlio che era un poco tonto e si era innamorato della figlia del massaro. E con la scusa di aiutare nella masseria andava sempre in casa di lei. La madre di lui si era accorta di questo fatto. Una volta quest'ultima aveva fatto del pane in casa e per tenere buona la massaia chiamò il figlio e gli disse: Porta questo pane alla massaia e quando entri dì “buongiorno”. Suo padre, che era nelle vicinanze, sentì il discorso e volendo anche lui far parte della faccenda gli disse: e dì “il pane te lo manda mio padre”.
Il Giovanotto si recò nella masseria e trovo la massaia che tesseva al telaio, entrò e le disse: buongiorno,il pezzo di pane te lo manda mio padre.
La figlia della massaia lo guardò negli occhi e disse: quanto è grossolano (stupido)!
Il giovanotto sentendo così, rispose: l’asina non ne poteva più (a girare la macina) ed è venuto macinato grosso. “come sei lungo, come sei lungo! (stupido) gli disse la giovincella. “che proprio questa mattina ho indossato i pantaloni di mio padre”.
Questa è una delle tante che sappiamo, come quella delle tre belle figliuole, una più bella dalle altre,
ma questo è un altro racconto,
Saluti da Leonardo Antonio Giannuzzi da Martano

Il nuovo museo dell'Acropoli

L'Acropoli di Atene ha subito diverse distruzioni e predazioni di sculture che si trovano oggi nei più grandi musei del mondo come il British Museum di Londra e il Louvre di Parigi.

Le sculture che sono rimaste erano stivate da molti anni in un museo allestito sulla roccia dell' Acropoli e non erano esposte. Si è pertanto deciso di costruire un nuovo museo di fronte all'Acropoli ed esporci gli antichi tesori.

Il nuovo museo dell'Acropoli occupa complessivamente 23.000 mq con 14.000 mq di superficie espositiva. È stato progettato dall'equipe di Bernard Tschumi di New York e di Michalis Fotiadis di Atene con la collaborazione di sessanta gruppi di consiglieri speciali e ingegneri in modo che risulti antisismico, confortevole con buon isolamento termico e acustico.

Per esempio, la grande sala di vetro del Partenone con vista diretta sulla Roccia Santa e sul tempio di Atena, è in realtà un "camino di vetro" che filtra le radiazioni nocive e sfrutta la luce naturale. Ha inoltre una funzione isolante e climatizzante. Con una temperatura esterna di 40 °C la sala si trova a 24 °C.

Questa non è l'unica novità del nuovo museo che sfrutta la tecnologia moderna. È stato progettato in modo che una famiglia possa trascorrerci una giornata, e che le persone di ogni età siano soddisfatte. Così, oltre le sale espositive, sono presenti due snack bar, un negozio di regali, un ristorante, un anfiteatro e una sala per le mostre temporanee.

I solai sono di vetro e sono usati in modo da ottenere una continuità ottica dalla sala del Partenone in alto fino agli scavi di 2.500 mq nel sottosuolo. Hanno 5cm di spessore e combinano resistenza, antiscivolamento e isolamento termico. La progettazione antisismica permette al museo di resistere ad un sisma di 10 gradi sulla scala Richter. Le 92 colonne di sostegno poggiano su altrettante "basi a pendolo rovesciato" cioè su due costruzioni metalliche di 1,2 m di diametro che sembrano due piatti concavi con superfici ben levigate per assicurare il minimo di attrito. In caso di terremoto, lo slittamento si effettua tra questi due piatti che, vista la loro forma, riprendono la loro posizione dopo la scossa. Ogni base è stata progettata separatamente perché ogni colonna presenta momenti statici e compressioni differenti. Sono state costruite in Germania e verificate in America.

Il guscio della sala del Partenone è autoportante, strutturato senza telaio e senza riflessi. È costruito in vetro con bassi tassi di ferro in modo da non presentare colorazione verde e che la luce entri nitida permettendo una vista chiara verso l'esterno e specialmente verso l'Acropoli.

Il camino di vetro della sala del Partenone è composto da due pareti distante di 0,7 m tra di loro. Sul guscio esterno si trovano alcune macchie serigrafiche, per aumentare l'ombreggiatura e diminuire l'appannamento; c'è anche uno strato ad alto rendimento che protegge dalle radiazioni infrarosse. Il guscio interno pende a 2,5 m dal pavimento. Alla base della vetrata si forma una panchina perimetrica che fa anche da condotto di climatizzazione da dove fuoriesce aria gelida. L'aria, salendo tra le due "pareti" di vetro verso l'apertura del contro-soffitto e degli apparecchi di condizionamento, si scalda naturalmente.

Per diminuire gli echi che stancano i visitatori, specialmente lungo la grande rampa della salita pedonale di 12 m di altezza, l'assorbente acustico è posizionato dietro le pareti verticali di cemento precompresso forato in modo che la voce, di una guida per esempio, non provochi eco e che risulti netta.

Questa è solo una semplice descrizione della costruzione del nuovo museo dell'Acropoli costruito realmente secondo una tecnologia innovativa. Si trovano esposte lì tutte le antichità trovate sull'Acropoli. Siate i benvenuti per vederlo da vicino e ammirare le realizzazioni dei nostri antichi antenati e sentirvene orgogliosi.

Iannis Papadimitriou

Mi è venuta voglia di sentire... parole griche

Mi presento come una giovane studentessa di 24 anni.
Un giorno ho ricevuto una copia di questa rivista e l’ho letta con tanto interesse. Mi è piaciuta molto perché parla di tutto, ma soprattutto mi è piaciuta l’idea di raccontare brevi storie riguardanti tutto ciò che una volta erano le tradizioni del nostro paese, del nostro territorio. In fondo il griko non deve essere visto come una lingua solamente parlata, ma anche come una tradizione molto antica.Il mio primo contatto con il griko nasce praticamente dal mio primo anno di vita. Le mie prime parole pronunziate furono nanni e nanna. È da qui che è nato il mio cammino verso un mare immenso di termini e parole che mi ha permesso di conoscere questa lingua. È iniziato tutto come un gioco, ero una bambina molto loquace e amavo ripetere qualsiasi cosa mi dicessero.
Sono stati proprio i miei nonni a trasmettermi l’amore per questa lingua, tanto che questo amore mi ha portato a diplomarmi persino in greco moderno.
Tempo fa ho deciso di fare una passeggiata per le vie di Martano dove ero solita percorrere da piccola, a braccetto con mio nonno, il quale conosceva praticamente tutti gli anziani che parlavano griko. Ho sentito quest’esigenza perché ero curiosa di sapere se a distanza di anni ci fosse ancora nell’aria qualche parola di griko trasportata nel paese dal vento. Le mie speranze erano ben poche perché molti anziani purtroppo sono venuti a mancare e molti di loro magari stanno poco bene. Ma decisa ho intrapreso il mio “viaggio”. Con stupore e con immensa gioia da lontano sono riuscita a sentire parole grike. Mi sono permessa di avvicinarmi per salutarli e parlare un pochino con loro. A distanza di anni sono rimasti senza parole a sentire parlare “questa lingua” da una ragazza giovane. In effetti, l’ultima volta parlavo il griko come una bimba che aveva paura di relazionarsi es esprimersi in questa lingua. Questa cosa da un lato mi ha fatto sorridere, dall’altro mi ha fatto pensare al fatto che sono pochi a sapere parlare così perfettamente il griko come gli anziani. Loro mi hanno pregata e mi hanno detto: “Porta avanti il griko, noi siamo vecchi e le forze non le abbiamo più, non ce la facciamo, ma ci piacerebbe che la nostra cultura ed il nostro sudore di un duro lavoro effettuato potesse andare avanti e rivivere giorno per giorno”.
Ci sono stati già veri articoli sull’importanza di portare avanti il griko, lo so, infatti spero di non annoiarvi ma semplicemente di proporre una mia idea, che magari può essere sbagliata, ma ci voglio provare.
Sono persone molto grandi di età che conoscono solo le mura di casa loro ormai, sono orgogliose di sapere parlare il griko, ma si sentono indifese perché ritengono che la società di oggi non conosca più l’amore di una volta e i valori della famiglia. Molti di loro mi hanno raccontato che hanno sacrificato la loro vita per i figli, ma che per forza di cose sono rimasti soli o sono abbandonati a loro stessi senza affetti al loro fianco. Delle volte si sentono un peso per la società e per la famiglia. È proprio questo che mi ha spinto a scegliere di pubblicare questo articolo, ripetendomi nel trattare l’argomento.
Se noi li ringraziassimo? Perché è anche grazie a loro che noi ora viviamo in una società così modernizzata e che abbiamo imparato a vivere.
Molti genitori di oggi ritengono che imparare un’altra lingua come il griko sia uno stress inutile per il proprio figlio. E se invece vedeste il griko non come una lingua inutile e vecchia ma come una cultura che possa aiutare a far unire tanti bambini? Magari proprio insegnando il griko con attività ludiche?
È quello che ho percepito negli occhi di queste persone che nella vita hanno sofferto e fatto sacrifici per noi. Non credo che il griko insegnato in maniera divertente possa rovinare i più piccoli o i ragazzi. È una lingua che ci appartiene e che hanno creato i nostri bisnonni e trisavoli. Servirebbe soprattutto per i bimbi che hanno difficoltà a relazionarsi con altri ed esprimere meglio le sensazioni e la loro voglia di stare in compagnia. E chissà, magari un motivo per voi genitori e nonni per avere un’oretta in più da dedicare a voi stessi sapendo che i vostri figli e nipoti stanno unendo l’utile al dilettevole.
Vi andrebbe di tendere una mano a quelle persone che ci sono con la testa, ma che non sono in grado di agire di persona, pur avendo la voglia di sentirsi rivivere in noi giovani?
La gioventù va incoraggiata e aiutata, dandoci una mano riusciremmo insieme a fare qualcosa di bellissimo per il futuro mandando avanti una cultura così importante, sempre ricordandoci che sono stati proprio i più piccoli cittadini a farlo.
Colgo l’occasione di dedicare tutto questo a mio nonno ringraziandolo per tutti i valori che mi ha trasmesso dicendogli che sarà sempre nel mio cuore pur essendo molto lontano. Ringrazio anche mia nonna e i miei genitori per avermi insegnato la vita e la tradizione del mio paese pur essendo sempre vissuta all’estero.

Doriana Turi

Saluto al Peter Pan del Pop che ci ha lasciato

Il giorno 25 giugno 2009 all'ospedale Ronald Reagan UCLA Medical Center a Los Angeles (Usa) è morto il cantante e ballerino americano Michael Jackson. Lo trovarono nella sua abitazione a mezzogiorno con un arresto cardiaco, per un ora gli fecero la rianimazione e lo portarono al pronto soccorso, ma non poterono fare più niente per farlo tornare in vita. Michael aveva compiuto 50 anni l'agosto del 2008.

Con Michael Jackson il mondo ha perso un grandissimo talento che già da piccolo iniziò a cantare, dagli anni '60 insieme ai suoi fratelli nel gruppo The Jackson Five. Nel 1982, dopo diversi dischi che aveva fatto da solo, ebbe un grande successo con l'album «Thriller», che fino ad oggi con 109millioni di copie vendute resta l'album più venduto nella storia della musica pop.

Dagli anni '90 iniziarono ad andargli peggio le cose. Gli fecero due processi per pedofilia (l'anno 2005 venne prosciolto), si fece delle plastiche al naso che andarono male, sembra che divenne dipendente dai farmaci, che s'imbianchì la pelle, ma aveva una malattia, la vitiligo, che lo fece imbianchire, si sposò e si divorziò due volte.

Michael rimarrà nei nostri cuori per quel che era. Un ballerino che con i suoi movimenti ci lasciava a bocca aperta, un cantante che aveva la grazia di dio nella voce, un poveretto che prese i calci nel sedere dal padre. Era un uomo che voleva rimanere bambino per tutta la vita e si ruppe per questo mondo, come il suo eroe che nominava sempre nelle interviste, Peter Pan.

Thanks for all Michael, and may you rest in peace!


-Carlo Guarini-

Il Grico ed il Neogreco

Dopo l'entrata in vigore della legge che impone alle minoranze linguistiche d'Italia l'obbligo (a richiesta degli utenti) della redazione degli atti pubblici nella lingua minoritaria, l'Unione dei Comuni della Grecìa Salentina ha provveduto alla nomina di nove traduttori-interpreti cui è demandato l'arduo compito di trasferire (ove richiesti) verbali di sedute di Consigli Comunali, di riunioni degli organi direttivi dell'Unione dei comuni grecofoni e qualunque altro pubblico documento nella lingua minoritaria. Non vorrei essere nei panni di coloro che hanno accettato l'arduo compito. Devo rilevare, per inciso, che il manifesto con cui è stato bandito il concorso per l'assunzione dei traduttori era stato redatto solo in burocratese italiano. Mi rendo perfettamente conto che nessuno al mondo sarebbe stato in grado di creare un testo, anche elementare, in burocratese grico. Mi è stato spesso chiesto l'equivalente grico di termini di uso assai comune, ma non sono stato in grado di esaudire tale richiesta perché il dialetto grico tagliato circa mille anni fa dalla sua lingua di riferimento, decapitato dei suoi intellettuali, cioè dei sacerdoti di rito greco, circa quattro secoli fa, non dispone di un lessico aggiornato alle esigenze del mondo contemporaneo. Il greco di Calabria e quello di Puglia riescono a mettere insieme solo seimila vocaboli che riflettono le esigenze di comunicazione di popolazioni quasi esclusivamente contadine e non possono soddisfare in alcun modo le necessità di chi vive nella società moderna in cui i figli e i nipoti dei contadini grecofoni sono diventati medici, avvocati, pubblici funzionari, ecc. Ciò non vale solamente per il grico, ma per tutti i dialetti, anche per quelli di matrice neolatina. Mi sovviene a questo proposito quanto scriveva il Manzoni circa due secoli fa ne "I promessi sposi" citando il nome del forno devastato dai milanesi affamati " Al prestin de' scansc", cioè "Il forno delle grucce" e l'equivalente latino "pistrinum" del nome "forno". Alcuni giorni fa il titolare della panetteria da cui mi servo, desiderando riportare nell'insegna del suo negozio l'equivalente grico di "panetteria", ha dovuto constatare che in grico abbiamo soltanto il termine "furno", cioè il luogo dove si confeziona il pane, mentre manca l'esatto corrispondente di "panetteria", cioè il luogo dove esso si vende. Ho dovuto suggerirgli il termine neogreco "artopoleivo" che significa letteralmente "vendita di pane", ma non sarebbe compreso dai nostri grecofoni residui. In verità anche i Greci hanno il sostantivo "fouvrno"" come prestito italiano, ma attingendo al lessico del greco antico hanno creato, per le insegne dei negozi dove si vende, il neologismo "artopoieivo" che significa "luogo dove si fa il pane". Analogamente non esiste in grico il verbo "augurare" e neppure il sostantivo "auguri", ma il loro equivalente neogreco non sarebbe compreso nella Grec™a Salentina. Potrei citare molti altri esempi analoghi che possono testimoniare che i dialetti, in generale, tendono a scomparire perché non riescono a soddisfare col loro ridotto patrimonio lessicale le vastissime esigenze di comunicazione delle società moderne. Il neogreco, dispone di circa 170.000 vocaboli. Un terzo circa di questi vocaboli sono di origine greca antica, sono presenti nella lingua italiana e in molte lingue europee ed appartengono alla terminologia scientifica dei vari settori del sapere. Ne fanno parte anche i vocaboli grichi. Inoltre, coloro che insegnano il grico non possono prescindere dalla conoscenza del greco antico e/o moderno, se non vogliono incorrere in madornali strafalcioni ortografici. La morfologia e la sintassi del grico sono per il 90% uguali a quelle del neogreco. Anche le strutture morfologiche e sintattiche del dialetto romanzo parlato nella Grec™a Salentina sono analoghe a quelle del neogreco perché ne rappresentano la traduzione letterale dal grico. Chi conosce il grico e/o il dialetto romanzo e vuole apprendere il neogreco, si trova nella stessa fortunata condizione del giocatore di scopa che parte con quattro punti di vantaggio sul suo avversario. Quanto ho molto sinteticamente esposto potrebbe essere suffragato da ampia documentazione di esempi tratti da raffronti grammaticali e lessicali. Non a caso i militari italiani, anche quelli analfabeti, originari della Grec™a Salentina, mandati in Grecia come truppe di occupazione, dopo un paio di mesi riuscivano a comprendere e ad esprimersi in greco moderno, molto meglio dei loro ufficiali italiani che avevano seguito studi classici. Nell'Europa multilingue che si sta faticosamente edificando e che richiederà ai nostri figli e nipoti la conoscenza di più lingue, noi grecofoni siamo tra i cittadini italiani quelli più favoriti nell'apprendimento del neogreco. Proprio per queste lungamente meditate considerazioni i cultori del grico hanno chiesto ed ottenuto dal Governo della Grecia la presenza e l'aiuto nelle nostre scuole di insegnanti greci. Purtroppo non tutti hanno compreso, anche per difetto di informazione, quanto sia importante per noi grichi, salentini e pugliesi la conoscenza del neogreco. Molti gricofoni, o aspiranti tali, non si rendono conto che il grico, da solo, conduce all'isolamento; che le giovani madri di oggi, a differenza delle loro nonne, non hanno come unica lingua il grico. Le giovani insegnanti di grico, che hanno frequentato un corso di pochi mesi, anche se lo capiscono, non lo parlano abitualmente e nella maggior parte dei casi non ne conoscono la grammatica. Non a caso nelle scuole della Val d'Aosta si insegna il francese e non il dialetto gallo-provenzale, nella Venezia Giulia lo sloveno, nell'Alto Adige il tedesco e non il dialetto tirolese delle singole valli. Perfino nel Trentino italofono è obbligatorio l'insegnamento del tedesco come prima lingua "straniera". Per questi motivi, circa trent'anni fa, quando ebbe inizio la lotta per il riconoscimento delle minoranze linguistiche d'Italia, i cultori del grico considerarono utile e necessario l'insegnamento del grico nella scuola materna e nel biennio iniziale della scuola elementare con la didattica propria di quell'età, l'approccio al neogreco nel triennio successivo e l'insegnamento della lingua e della grammatica neogreca nella scuola media e negli istituti superiori.

Salvatore Sicuro


I 6'000 lemmi che ci sono pervenuti dal greco del secolo XVII, sembra che sono bastati perché noi capissimo quello che Salvatore Sicuro ci voleva dire. Le «lingue standard» come il neogreco e l'italiano, vollero un grande impegno per diventare quel che oggi sono. Ci fu gente che si occupò, che le scrisse, che lavorò e che giocò con queste lingue, e che le arricchì di neologismi e di nuova linfa, perché potessero vivere e cambiare insieme al mondo. Noi cerchiamo di fare questo lavoro per il grico con i Spitta. Dall'altro canto, ci fu sempre gente che andava „con la lingua tra i denti“, cioè che parlava in neogreco ed in italiano. Può essere che sia questo il più grande problema che ha il grico oggi. Sono troppi quelli che non vogliono più parlarlo.

Il prof. Sicuro ha ragione quando dice che i bambini a scuola devono imparare il neogreco. Ma è il greco otrantino e non il neogreco il legame che ha il Salento con la Grecia. Se si perde il nostro grico, nel Salento si perde l'ellenofonia. Per questo dobbiamo fare attenzione a mantenere vivo il grico – se il neogreco ci deve servire a qualcosa.

-La redazione di Spitta-