sabato 11 aprile 2009

MIEI NUOVI VESTITI DI PASQUA

(Storia di mio zio)

Ero giovane nella scuola elementare del nostro villaggio. Mio nonno, nei giorni della Grande Quaresima sempre mi spingeva a imparare la preghiera di "CIRIE DINAMEON", chiedendomi di inginochiarmi ogni sera, prima di andarmi a dormire, per pregare.Con anzia io aspettavo la Grande Settimana e la Sacra Passione, perche dopo sarebbe venuta la Resurezione di Cristo.
Quante nuove cose e quante contentenze avevo il giorno di Pasqua!! Con tutta la gioia che mi portava !! Ma la più importante di tutte erano i miei nuovi vestiti, la mia nuova "vraka" (pantaloni) e il mio bello"jeleco"(camiciola) che mia madre cuciva per lungo tempo e preparava con richami di tutti i colori che decoravano l'orlo del mio "jeleko" e anche le tasche. E quando arrivava il giorno di Pasqua, andavo in chiesa.
Camminavo con orgoglio, credendo che ero io il solo a camminare con i miei nuovi belli vestiti. Invece noi tuttii giovani credevamo di essere noi a portare la Pasqua con le rosse uova e tutta quante l' allegria di quel giorno!!!!!. E il mio "zonari"(cinta) io l' ho dimenticato??... Fatto di seta : mia nonna mi l'ha portato, quando lei e andata a nuotare al fiume "Giordano"dove Cristo era stato battezzato e a pregare sulla tomba del Santo Sepolcro. Sopra la bella cintura di seta erano ricamate le lettere di una preghiera. Mi ricordo come tutti i miei amici tradivano la loro gelosia vedendo il mio"zonari": perche quello loro era fatto della stessa roba della loro "vraca"(pantaloni) o con seta ricamata dai bossoli di bachi da seta che le donne allevavano e che preparavano e coloravano per fare il filo di seta, ma non come quello mio.
Io ero magrino e non pesavo tanto. Per fare i miei nuovi vestiti era poco il costo e quindi facile era confezionarli. Solo il mio "zonnari" era venuto da fuori, ma tutto il resto era fatto con materiali provenienti dal villagio e non costava troppo vestire un giovanotto della mia età a quel tempo. Così mio padre poteva risparmiare più soldi per acquistare le altre cose per la casa. Da solo mio padre coltivava il cotone di cui avevamo bisogno. Mia madre invece, lo dipanava con le sue mani, poi lo turbinava e faceva la filatura che la tingeva con i suoi bei colori, fatti di erbe e fiori. Il filo, piano piano aumentava sul telaio e intanto cantava una canzoncina antica, e tessendo creava il panno, ma che panno!! Come era resistente quel panno dei nostri vestiti! Ci sembrava, vestendo il nostro corpo con i nuovi vestiti di Pasqua e andando in chiesa, che Cristo con la forza della della sua resurrezione ci benecesse e facesse i nostri vestiti forti e specialmente a
la mia "vraca”.(pantaloni)

THEONIA DIAKIDIS

Dolce il nome di mamma!

La madre che ci ha creato,
ci ha regalato non solo il suo sangue
che corre nelle vene del nostro corpo:
ci ha regalato anche la spiritualità e la moralità che ci impone
di fare buone e grandi azioni.

La mamma è la nostra consolazione,
la gioia ed i fiori della nostra primavera.
Amore come il suo non potrai trovare sulla Terra!

Solo coloro che hanno perduto la loro madre,
solo loro capiscono
quanto pesante e aspro
sia il dolore che li nutre.

Mamma, dolce nome,
come posso dimenticarti,
se ti tengo dentro il cuore dovunque vada e da qualsiasi luogo torni!

Tenevo la tua mano che mi benediceva!
Nella mente mi risuona
la bella tua favella.
Dove troverò, mamma, le parole per il mio lamento
e per confessarti quanto sia amaro il mio dolore?

Theonia

venerdì 10 aprile 2009

Chi ha paura della primavera?

di Francesco Penza

Tutti siamo felici di vedere che sta arrivando la stagione migliore, si sente un po’ di caldo e la sera non è più così buia. A dire la verità però c’è anche chi non si rallegra tanto, perché questa è anche la stagione peggiore per le allergie. Prudono gli occhi, si chiude il naso, non smettono gli starnuti e qualcuno se la deve vedere anche con l’asma che gli chiude i bronchi. Di chi è la colpa? Di piante che inviano nell’aria polline e questo con il vento in poco tempo di disperde ovunque. E la colpa è anche del nostro sistema immunitario, quello che ci difende dalle malattie, che invece di prendersela con virus, batteri ed altro va a fare la guerra al polline, per molti al polline di graminacee, piante imparentate con il grano che crescono ovunque, oppure con la parietaria, erba che cresce sui muri, o di olivo e altre piante. Ma ogni tanto se la prende pure con il pelo di cani o gatti, oppure con gli acari della polvere, animaletti piccolissimi che vivono nei cuscini, nel letto e nella polvere. Quelli che hanno l’allergia agli acari poi, stanno peggio degli altri perché hanno il raffreddore tutto l’anno. Si chiama “allegia” dal greco antico “allos” (altro) e “ergon” (lavoro, ma anche reazione).
C’è chi dice che oggi sono cresciute le allergie perché viviamo molto puliti e senza infezioni, per questo il sistema immunitario non trova più con chi prendersela e finisce per dedicarsi a polline e acari.
Ma che devono fare coloro che hanno l’allergia? Per prima cosa devono chiedere i “prick test” che si fanno sulla pelle per vedere quale allergia si ha, poi devono sentire il proprio medico per la terapia che può essere giusta per loro. Per coloro che hanno solo una allergia o due, c’è la possibilità di prendere un “vaccino” (terapia iposensibilizzante specifica) che spesso consiste in gocce da mettere sotto la lingua ogni giorno. Sennò devono prendere spray nasali, gocce per gli occhi e alcune terapie in compresse come l’antistaminico la sera. Qualcosa si può fare per migliorare la situazione in casa, per limitare polvere e acari: cambiere materasso e cuscino con usando quelli in lattice, togliere tutto ciò che porta e trattiene la polvere (tappeti, moquette), usare aspirapolvere con filtro HEPA, e altre misure. Devono fare attenzione coloro che hanno l’asma, perchè devono andare dallo specialista pneumologo per capire se devono fare una terapia specifica per mantenere aperti i propri bronchi. Così anche loro potranno godersi il bel tempo!

Quaresima - Sarakostì

di Giuseppe De Pascalis e Iannis Papageorgiadis

Quaremma, personaggio simbolo del passaggio da un periodo di allegria, qual’è il Carnevale, ad un periodo di privazioni e preparazione alla Pasqua qual’è appunto la Quaresima. Si tratta di un fantoccio di paglia, appeso fuori dalle case, che personifica una “vecchia” che indossa un abito scuro, un fazzoletto in testa e, in mano, un fuso e una conocchia. Elemento caratterizzante la Quaremma è, inoltre, un’arancia in cui sono infilzate, a raggiera, sette penne di gallina, una per ogni settimana della Quaresima. Alla fine di ogni settimana si toglie la penna corrispondente ed il giorno di Pasqua la Quaremma viene bruciata a simboleggiare la liberazione dalle privazioni e dalla sofferenza.

Sarakostì viene dal greco Tessarakostì o semplicemente Sarakostì, nome dato al periodo di digiuno (astinenza e penitenza) di quaranta giorni prima di Pasqua istituito al quarto secolo d.C.
Per gli ortodossi la Sarakostì va dal « Lunedì pulito » al venerdì prima della domenica delle palme. Per i cattolici invece inizia il martedì grasso e va fino al sabato di Lazzaro, vigilia della domenica delle palme.
Col passare del tempo si sono aggiunti o sottratti altri giorni per arrivare in fine a definire un periodo di sette settimane prima di Pasqua, l'ultima delle quali è la settimana santa.

Tempo fa, quando non esistevano ancora i calendari di oggi, per sapere quanto tempo rimaneva fino alla fine del digiuno, in molti paesi della Grecia, si costruiva un “calendario”, chiamato “kirà sarakostì”, signora Sarakostì. Si trattava, di solito, di un disegno su un foglio di carta che rappresentava una suora senza bocca perché digiunava, con le braccia incrociate perché pregava e con sette piedi perché erano sette le settimane di digiuno. Ogni sabato le tagliavano un piede. Il sabato santo tagliavano l'ultimo piede e lo nascondevano in un fico secco. Questo fico lo mescolavano con altri fichi e colui a chi capitava il fico “farcito” era il più fortunato.

Nel Salento invece, la Sarakoctì (Quaremma o Quaresima o Quaresma, dal francese carême) era rappresentata da un fantoccio di paglia, appeso fuori dalle case, che personificava una “vecchia” in abito scuro, un fazzoletto in testa e, in una mano portava un fuso e una conocchia e nell'altra un'arancia su cui venivano infilate sette penne di gallina, una per ogni settimana della Quaresima. Alla fine di ogni settimana si toglieva una penna e il giorno di Pasqua la Quaremma veniva appesa ad un filo su un palo e veniva bruciata.

In altri paesi della Grecia la figura della Sarakostì era fatta con un impasto di farina acqua e sale o con della stoffa che riempita diventata un pupazzo. Vale però la pena notare che nei paesi greci del Ponto, sul Mar Nero, la Sarakostì era rappresentata da una patata o da una cipolla che si appendeva al soffitto sulla quale si infilzavano sette penne di gallina come sull'arancia della Sarakostì salentina. Anche qua si toglieva una penna ogni settimanae così contavano quanto rimaneva fin'alla resurrezione. Questo “calendario” si chiamava “kukurà”.

I ratti sono sensibili alle onde della telefonia mobile

di Iannis Papageorgiadis

Ancora un segnale d'allarme scientifico!
Una tesi di dottorato esposta all' UCL (Université Catholoque de Louvain) dimostra un raddoppiamento della mortalità dei ratti sottoposti a deboli campi elettromagnetici come quelli emessi dai cellulari.
Iniziata da Dirk Adang, questa ricerca ha la particolarità di esser stata realizzata durante un lungo periodo e secondo una metodologia giudicata di qualità da esperti indipendenti.
I ratti hanno un patrimonio genetico molto simile a quello umano. La motivazione del giovane ricercatore è di pubblica utilità : per lavorare sul tema delle lunghe esposizioni non ha aspettato che l'Organizzazione Mondiale della Sanità pubblichi i suoi risultati, attesi nel 2012.

La ricerca principale
Le cavie: i ratti
Il 90% del materiale genetico del ratto e dell'uomo è comune.
La durata
Il ratto vive in media due anni e mezzo. Per 18 mesi, cioè per il 70% della loro durata media di vita, Dirk Adang ha sottomesso tre gruppi di ratti a tre diverse radiazioni elettromagnetiche. Un quarto gruppo, di controllo, non ha subito nessuna radiazione.
I controlli
Per esaminare le conseguenze sulla salute dei ratti, si procedeva, ogni tre mesi, ad un prelievo di sangue. Le analisi rivelavano un aumento dei monociti in tutti i gruppi esposti; fatto che indica uno stress o una reazione dell'organismo a un' aggressione esterna o una intrusione.
In oltre, dopo un'esposizione di 11 e 18 mesi, tanto i leucociti quanto i neutrofili erano aumentati, relativamente al quarto gruppo, di controllo.
Il tasso di mortalità
Tre mesi dopo la fine dell'esperienza, la mortalità nei tre gruppi sottoposti alle radiazioni risultava essere il doppio di quella del quarto gruppo di controllo: 60% contro 29%. Dirk Adang suppone che questo sia il risultato della reazione e della modifica del sistema immunitario. Dei 124 ratti solo 19 sono stati fin'ora oggetto di dissezione. Numero troppo piccolo per essere significativo e stabilirne dei paragoni. Segnaliamo comunque che la morte di 17 dei 19 ratti esposti a delle radiazioni è stata causata da diversi tumori (collo, ginocchio...).
“Dopo le dissezioni degli altri si dovrà verificare se l'esposizione alle microonde a provocato un invecchiamento precoce dei ratti. Delle presunzioni esistono a questo livello” ha segnalato il ricercatore.
I risultati: mortalità dei ratti dopo 18 mesi di esposizione a delle radiazioni elettromagnetiche
Primo gruppo: frequenza delle radiazioni, 10 GHz (radar militare) : 61,3%
Secondo gruppo: frequenza delle radiazioni, 1 GHz (cellulare) : 58,1%
Terzo gruppo: frequenza delle radiazioni, 1 GHz (radar polizia) : 48,4%
Quarto gruppo: nessuna radiazione : 29%

Altre osservazioni
L'esposizione dei ratti a delle radiazioni durante 15 mesi a provocato delle perdite evidenti di memoria. “Queste osservazioni dovrebbero essere sufficienti per giustificare degli studi complementari a proposito” ha concluso Dirk Adang.

Conclusione
Siamo tutti cavie della telefonia mobile?
Nonostante tutto, si fa tanto chiasso per l'arrivo dell' iPhone3G in Europa.
Speriamo che non contribuirà alla conferma delle previsioni di questa ricerca.

Quaresima nel ricordo dei più vecchi

di Giuseppe De Pascalis

Quaresima, tempo di mangiar di magro e di digiuno.
Questo racconto è una sintesi di una chiacchierata con gente un poco avanti con gli anni.
Ciò che viene all’occhio è che comincia e finisce col mangiare. Tempi duri!

Dicevamo: è entrata quaresima! Abbiamo finito di mangiare bene e non si poteva assaggiare più neanche un uovo. Se stavi proprio male e stavi per morire, forse, forse, e pure doveva essere il dottore a dire: dagli “qualcosa di buono”, altrimenti non l’assaggiava nessuno quella cosa là per tutta la quaresima.
La quaresima cominciava dall’ultima domenica di carnevali, dal lunedì dopo la domenica. Ma dicevano che hanno incluso nel periodo di carnevale il lunedì ed anche il martedì per gli zoppi o per qualcuno che era lontano, altrimenti la quaresima comincia dalla domenica dopo carnevale e fino a Pasqua è sempre quaresima. Sono sette settimane, sette settimane dura proprio la quaresima. Quei due giorni gli hanno lasciati, dicono per quelli che arrivavano “con l’ultimo treno” perché potessero far carnevale con i loro familiari, perché allora si diceva: carnevale con i tuoi e a Pasqua con chi ti trovi. Adesso dicono: a Natale con i tuoi e a Pasqua con chi ti trovi.
Mercoledì dopo il martedì di carnevale erano le ceneri. Le ceneri rappresentavano proprio l’inizio della quaresima. Se andavi in chiesa quel giorno, il prete ti metteva un pizzico di cenere sulla testa, ma ancora adesso fannola stessa cosa. Ti metteva la cenere e ti diceva: polvere sei e polvere diventerai. E di quella cenere, dicono, io non l’ho mai visto, che i preti bruciano un po’ di palme dell’anno precedente e raccolgono la cenere che poi usano il giorno delle ceneri.
La domenica prima dell’arrivo di Pasqua sono le Palme.
La domenica delle palme facevano i “cazzeddhi” con confetti e caramelle ed i giovanotti che avevano la fidanzata facevano la “crocemarta” che erano sempre delle palme intrecciate, ma con una figurina sacra nel mezzo. Quest’ultima era però molto lavorata e chi non era in grado di farla pagava perché gliela facessero per poterla portare all’innamorata per appenderla al letto.
La fidanzata, poi, allorché giungeva Pasqua, regalava al fidanzato la “Cuddhura”. Molte volte quest’ultima aveva forma di cuore e con l’uovo sodo nel mezzo.
Il giorno delle palme in ogni paese cantavano la passione. Andavano per masserie, per le strade e nelle botteghe: uno suonava e due cantavano.
La Settimana Santa andava dalle Palme fino a Pasqua.: lunedì santo, martedì santo, mercoledì santo, giovedì santo, venerdì santo, sabato santo, Pasqua!
Nel periodo di quaresima venivano sempre per due settimane i missionari per fare le prediche, per convertire la gente. Lunedì santo, martedì santo, mercoledì santo facevano ancora di queste prediche, il giovedì santo facevano i Sepolcri e la predica della passione di Cristo.
Il venerdì santo non suonavano né campane né niente, la mattina facevano la “messa scerrata”: i preti non consacravano, non facevano niente e quando finivano di dire messa lasciavamo tutto disordinato e andavano via.
Facevano la processione con la Madonna Addolorata e Cristo morto nella bara, andavano girando tutte le cappelle, e una volta passata la processione “alzavano” il sepolcro: toglievano il Crocefisso che giaceva morto per terra e disfacevano il sepolcro.
Allora il Cristo lo facevano risorgere la mattina di sabato santo.
Tutti andavano in chiesa. Questa era la festa delle raganelle, delle “cuddhure” e dei bambini: tutte le mamme andavano in chiesa insieme a tutti figlioletti.
Il giovedì santo i forni del pane cuocevano le “cuddhure”: ai figli maschi facevano il “campanile” con l’uovo dentro, alle figlie una “pupa” o un “carciofo” sempre con dentro l’uovo. Non le mangiavano, ma le lasciavano per la messa del sabato santo: chi più portava in chiesa la raganella e la “cuddhura”, ma per quanto fossi piccolo quest'ultima non la potevi mordere prima che facesse gloria. Una volta avvenuta la resurrezione, i piccoli si scapricciavano a girare le raganelle e a mangiare la “cuddhure”.
Passando Pasqua arriva Pasquetta che allora era detta “casarìn dettera” (Lunedì pulita dai peccati), ma tutta la settimana dopo pasqua era “casarì”: lunedì monda, martedì monda ecc.. fino alla domenica.
Tutto ciò che si era perduto, che non si era mangiato nel periodo di quaresima si mangiava nella “casarì” settimana. Si mangiava qualche uovo, un poco di formaggio, si facevano i maccheroni più spesso; potevi mangiare carne se avevi soldi.
Nel periodo di quaresima ti veniva inflitta la sentenza di andare in prigione se mangiavi carne.

Il cavallo e l’asino

Dalla favola di Esopo

Un uomo, un cavallo ed un asino andavano camminando per la montagna. L’asino andava carico di legna. Stanco disse al cavallo: non ho più fiato, cugino. Prendi adesso la tua parte di legna, altrimenti crepo. Il cavallo fece il sordo e l’asino ritornò a dire: non senti cugino, se non ne prendiamo un po’ per ciascuno io muoio! Ma il cavallo nitrendo rispose: cammina e non parlare, stupido! Hai trovato mai un cavallo carico di legna? Il povero asino tacque e continuò a tirare: tanto tirò che cadde per terra restando rigido. L’uomo senza dire niente gli tolse il carico, gli tolse la pelle e la posò sulla legna e caricò tutto sul cavallo. Quando sentì che pesava, l’animale si accorse ( di ciò che aveva fatto) e disse: ah, cosa ho fatto, per non portare la mia parte, adesso devo portare il carico… ed anche la pelle.

Giuseppe De Pascalis

LA VITA DI UNA VOLTA

di Leonardo Antonio Giannuzzi

oggi per poter mangiare bisogna andare al supermercato per comprare a suon di quattrini
tutte le cose che si producevano in casa una volta: olio, il pane, il formaggio, la salsa,
la ricotta, il caffè di orzo, il caffè americano e tante altre cose che prima si producevano
in casa, in campagna e nella masseria. Si produceva il lino, cotone e dalle pecore si prendeva la lana. Le donne sul telaio tessevano le robe che servivano in casa e in campagna.
In campagna c'era un trullo, una tettoia dove ci stavano il cavallo i buoi, la giumenta,
diverse galline, due o tre galli e un maialetto che stava dietro il cortile sotto
un'ombreggiata di stoppie.
Nel trullo, che era come una stanza, dormiva
telai di ferro (tristiegdhi) alcune tavole di legno ed un saccone pieno d paglia di grano.
Sotto il letto dormivano i bambini; i più grandi dormivano nel pagliaio.
Tutta la famiglia di quel tempo stava tutta l'estate in campagna: si faceva la biada per
i cavalli, foraggio per i buoi e granaie per tutti. La mucca dava il latte che insieme
a quello di pecora serviva per fare la ricotta che con il siero e una ricottina insieme
al pane duro rimasto dalla sera,serviva per fare colazione.
Dopo si faceva il formaggio che si metteva sottosale per stagionare.
La madre si alzava un'ora prima degli altri e faceva cuocere il pane rimasto dalla sera
prima insieme a piselli, cipolle, peperoncino piccante, olio, verdure.
Il tutto si friggeva in una pentola. Dopo la cottura si svuotava in una taeddha grande con due presine dove tutti mangiavano: i grandi bevevano un bicchiere di vino, i ragazzi un bicchiere di acqua di cisterna. Poi ognuno andava al suo lavoro: i piccoli portavano le pecore al pascolo, il ragazzo più
grande puliva la stalla dando da mangiare la canigliata agli animali, raccoglieva le uova
e anche la legna. Il più grande prendeva il cavallo, gli metteva la sacchetta piena di
biada e di carrube ed andava ad arare la terra dove si doveva piantare ortaggi, cocomeri,
pomodori per la salsa, verdure e quanto serviva per la casa. Quando era mezzodì, tutti rientravano nel trullo per mangiare e fare la pennichella fino all'affievolire della calura. Al pomeriggio si raccoglieva il fieno nella pagliera, la legna che serviva a fare il pane: per fare il pane si raccoglievano le spighe che cadevano a terra quando si mieteva l'orzo.
Le donne con le figlie prendevano le sacchette, le riempivano di spighe, le portavano
a seccare sopra l'aia e quando il sole le seccava dopo due giorni, le sgretolavano
con un grosso bastone (manuleddha) e con un setaccio (zingarieddhu) si toglieva la
polvere, si riempiva il sacco e si portava al mulino.
Una volta macinato si faceva una "sottile": nel caso il tuo pane non bastasse per
un'infornata, si aggiungeva il pane di altre persone per completare l'infornata.
Dalla "sottile" uscivano circa 15 pezzi di pane tra pucce e friselle.
Frisella: pane biscottato che dopo averlo sfornato alla prima cottura, veniva tagliato
con un filo e poi infornato di nuovo.
Tra le pucce, si facevano anche le "olivate" che la madre distribuiva al vicinato,
ai fratelli, ai cugini, alle comari e spesso anche alle famiglie meno abienti dove
c'era fame chiedendo in cambio una preghiera per i defunti.
Per ogni famiglia una puccia e una olivata.
Con questa fare che la donna aveva, il pane in casa era sempre caldo perchè un giorno
lo faceva la comare Lucia, un giorno lo faceva la comare 'nntonia poi la comare Teresa,
poi lu cumpare Giuvanni e si andava avanti così: un continuo scambio.
Con le pucce, le olivate, le cuie, le schiacciatelle, le sceblasti, i pittarai
( tipo di focaccia).
Con il tutto si consumava un bicchiere di vino di Carpignano che era una festa.
A Carpignano il vino si faceva buono perchè c'erano molte vigne dove i martanesi andavano a zappare a giornata.
La sera quando la gente finiva di mangiare e di bere il vino affatticati e stanchi per il
lavoro svolto chi nei campi, chi alla mietitura, chi tra le vigne uscivano tutti
sul limitare della porta di casa.
Si raggruppavano per parlare degli avvenimenti della giornata e nel frattempo i ragazzini
giocavano a nascondino e le signorine si facevano notare dai giovanotti e le madri
filavano con la conocchia la lana delle pecore.
quando si faceva tardi il più anziano del gruppo richiamava tutti dicendo:" adesso andiamo
a dormire che domani ci attende una grande giornata. Buona notte a tutti, buon sonno e statevi bene".

Scusatemi se vi ho stancato. Io sono Leonardo Antonio Giannuzzi da Martano

LETTURE DAL RITO GRECO

di Giorgio Leonardo Filieri


Nel Rito Greco la Grande e Santa Quaresima è un periodo pieno di funzioni e liturgie molto belle e suggestive. Ma è soprattutto durante la Settimana Santa che si concentrano le più caratteristiche, con preghiere, canti e letture che possono far comprendere quanto è ricco questo Rito e quanto esso rifletta la spiritualità del popolo della Grecìa Salentina.

Quando si officia il vespro del Mercoledì Santo si “canta” questa lettura:
Signore, tu sei sempre buono:
non abbandonare colui che hai creato con le tue mani.
Ti ringrazio, mio Dio, con tutto il mio cuore.

Lettura dal libro di Giobbe:

Un giorno gli Angeli di Dio andarono a parlare con il Signore e fra di essi c’era anche il Diavolo.
Dio disse al Demonio: “Da dove stai arrivando?”. “Ho appena fatto –disse il Diavolo- un giro sulla terra ed ora sto arrivando dopo averla percorsa tutta!”. “E non si passato dal mio servo Giobbe? –chiese allora Dio al Demonio- non esiste sulla terra un altro uomo più giusto e più retto di lui! Ha timor di Dio e non fa mai il male! Non perde mai la sua bontà: tu mi hai spinto a fargli del male, a rovinarlo, ma lui non lo meritava”. Disse il Diavolo: “Pelle per pelle! L’uomo vende tutto ciò che ha , per salvare la sua vita. Stendi un po’ le tue mani e toccagli le ossa, vedrai come ti dirà beato e ti benedirà in faccia!”. Allora Dio disse al Demonio: “Lo lascio nelle tue mani! Fagli quello che vuoi, risparmiagli soltanto la vita!”. Il Diavolo si allontanò da Dio, andò da Giobbe e lo colpì con una piaga maligna dalla testa ai piedi. Giobbe prese un coccio e cominciò a grattarsi, uscì e si sedette su un cumulo di cenere. Giunse sua moglie e gli disse: “Stattene lì! Sei ancora intenzionato a comportarti da uomo giusto? Benedici Dio e muori!”. Lui rispose: “Parli come una donna stolta! Come abbiamo voluto accettare da Dio il bene, non dovremmo ora voler accettare anche il male?” Così parlò Giobbe, e per quanto disse con le sue labbra non commise peccato davanti a Dio.



Un’altra lettura viene cantata (poiché nel Rito Greco anche le letture si cantano) quando viene svolta l’officiatura del Mattutino di Sabato Santo:


Risorgi, Signore, aiutaci e liberaci
per la gloria del tuo nome

Abbiamo udito, Dio, nelle nostre orecchie
i nostri padri ce lo hanno annunciato.

Lettura della profezia di Ezechiele

Avvenne che la mano del Signore fu su di me, il Signore mi portò fuori nello spirito e mi depose nel mezzo di una pianura e questa era piena di ossa umane; e mi condusse in giro intorno ad esse, ed ecco ce n’erano in quantità enorme sullo sfondo della pianura, completamente inaridite. E disse a me: “Figlio d’uomo, queste ossa potranno mai rivivere?”. Io dissi: “Signore, Signore, tu sai queste cose”. E lui a me: “Profetizza verso queste ossa ed annunzia loro: ossa inaridite, ascoltate la parola del Signore; queste cose dice il Signore a queste ossa: ecco io porto su di voi lo spirito della vita e porrò su di voi i nervi e farò crescere su di voi la carne e stenderò su di voi la pelle e farò entrare in voi il mio spirito, e vivrete e riconoscerete che io sono il Signore”. Ed io profetizzai così come mi aveva ordinato il Signore. Ed avvenne che mentre io profetizzavo ecco un movimento si diffondeva fra le ossa spostando ognuno verso la sua corrispondenza. E vidi, ecco su di esse i nervi e le carni crescevano e si stendeva su di esse la pelle. Ma non c’era spirito in esse. E mi disse: “Profetizza riguardo lo spirito, figlio d’uomo, profetizza e di’ allo spirito: Il Signore dice questo: vieni dai quattro venti e soffia su questi morti, e diventino vivi”. E profetizzai riguardo tutto quello che mi venne ordinato; ed entrò in essi lo spirito, ed essi visserro e si alzarono sui loro piedi, un’innumerevole moltitudine. E il Signore mi parlò dicendo: “Figlio d’uomo, queste ossa sono tutta la casa di Israele. Essi dicono: le nostre ossa sono diventate secche, la nostra speranza è svanita, siamo perduti per sempre. Perciò profetizza e dì loro: Questo dice il Signore: Guardate, io apro le vostre tombe e vi farò rialzare dai vostri sepolcri e vi farò entrare nella terra d’Israele e riconoscerete che io sono il Signore, nell’aprire le vostre tombe, nel far risalire fuori dai sepolcri il mio popolo. E darò a voi il mio spirito, e vivrete, e vi collocherò nella vostra terra e riconoscerete che io sono il Signore; ho parlato e agirò”, dice il Signore.


Ancora oggi la spiritualità della gente, nei nostri paesi, non cambia molto da quella che era una volta, al tempo del Rito Greco; quando si leggono questi brani lo si riesce a capire perfettamente.