venerdì 25 luglio 2008

L'ulivo con i rami rotti

L'ulivo con i rami rotti
In un campo incolto un grande ulivo piangeva di nascosto. Da una siepe lo udì un piccolo ulivo selvatico e gli chiese:
-fratello cosa hai che piangi?
- Cosa ho, non si vede che ho tutti i rami rotti?
- Ma cosa ho fatto agli uomini che ogni anno vengono e mi bastonano? Che cosa ho fatto loro perché mi facciano tanti torti?
- Stupido, chiedi cosa gli abbia fatto? gli hai fatto avere troppe ulive.

Giuseppe De Pascalis

mercoledì 23 luglio 2008

ZOLLINO:Vita Nuova al Centro Polivalente per Anziani

Da molti mesi nel Centro Anziani di Zollino è iniziata una nuova vita. Il sindaco e la sua giunta hanno sollecitato i cittadini ad organizzarsi per usare il centro come momento di aggregazione.
Si è giunti alla formazione di un “Comitato degli Iscritti”, che si incarica di proporre le attività.
Si registra una gran frenesia che si esplica nel lavoro, nel canto e nel gioco.
Ogni giovedì, alle diciannove e trenta, uomini e donne si incontrano per cantare canzoni appartenenti alla tradizione popolare dei loro avi. “Ci definiamo Antichi Canterini, e il nostro emblema è rappresentato dalla canzone Tanto pè cantà: una canzone allegra e spensierata, così come aspiriamo ad essere anche noi! Accompagniamo le cantate con qualche boccone e con qualche bicchiere di vino, e poi......una, due, tre ed anche quattro voci riusciamo ad esprimere: non potete comprendere senza ascoltarci”.
E' stata organizzata la prima Serata Spensierata, e sono stati invitati tutti i cittadini zollinesi, che hanno potuto ammirare il nostro modo di cantare.
Abbiamo ripristinato i campi di bocce, ed ora chiunque lo voglia, può praticare il gioco liberamente con i suoi amici e/o amiche.
Abbiamo intrapreso il laboratorio di scultura. Due maestri, Giuseppe e Benito, ci guidano nell'apprendimento e in questo modo impieghiamo il nostro tempo libero. Benito, con l'aiuto di molti frequentatori del Centro, sta costruendo un forno in pietra leccese. Ogni volta che ci ritroviamo a lavorare ci fornisce le indicazioni operative. “Il forno si realizza con blocchi di pietra leccese refrattaria, che è reperibile solo nelle nostre cave. Il pane cuoce in circa un'ora”. Ecco le modalità e le fasi di realizzazione di un forno:
Con un filo di ferro, fissato al terreno da un lato, si traccia una circonferenza. Si chiude la circonferenza con i blocchi di pietra refrattaria, con l'accortezza di iniziare dalla bocca del forno. Precedentemente si avrà cura di predisporre un modello di cartone utilizzato per preparare i blocchetti di pietra. Su questa prima circonferenza si realizzerà la seconda con i cosiddetti “somarelli”, si chiuderà la volta con gli archetti. Una volta realizzato il modello, si riprendono in ordine tutti i blocchetti e si posizionano nella sede definitiva e si cementano.
A questo punto nel forno possiamo cuocere pane, carne, agnello, maiale, legumi, ........... Nel forno cuociono meglio gli alimenti.
Dalle attività descritte in precedenza si intuisce il tipo di vita nuova che caratterizza attualmente il Centro Anziani. Uomini e donne, piano piano si avvicinano a noi, in quanto desiderano stare in compagnia, per fare nuove amicizie e per continuare ad apprendere, per continuare ad essere dinamici, allegri e spensierati.

Francesco Chiga

lunedì 14 luglio 2008

Qualche volta il grico paga

La storia che vi racconto questa volta è quella capitata a Biagio Chiriatti, meglio conosciuto come Biagio “Maseddha” e che mi raccontava l’altro giorno. Ascoltatela.

Alcuni anni fa, quando ero giovanotto stavo facendo il soldato dalle parti di Roma. Un giorno non mi sentii molto bene e mi portarono all’ospedale del “Celio” a Roma. Mi fecero la visita e tutte le analisi e non uscì niente. Quando il colonnello medico passò tra i letti per visitare i malati e giunse vicino a me e guardò le carte, vedendo che non avevo niente mi disse:
- Tu sei sano, non hai niente, sei venuto qua per vedere se di danno un po’ di convalescenza?
- No, risposi io, mi hanno portato qua perché mi sono sentito male. Non mi sono fatto portare qua perché mi diate della convalescenza.
Il dottore continuò a leggere le carte e vide che venivo da Martano. Non appena si accorse di questo subito chiese nuovamente:
- Allora tu sei di Martano?
- Si, dissi io, sono di Martano.
- Ed il grico lo capisci, lo capisci il grico? Lo sai parlare?
- Lo capisco bene, dissi, ma a parlarlo non lo so molto.
- E dimmi come si chiama il cuore?
- “Cardìa”, risposi presto.
- E testa?
- “Ciofali” risposi nuovamente io.
Insomma, per farla breve, mi chiese per diverse volte (la traduzione di altre parole) poi mi salutò e continuò a visitare i malati.

Adesso dobbiamo sapere che il colonnello non era dalla Grecìa Salentina, ma proveniva da un paese del “Capo di Leuca” ed era uno di quelli, come tanti che, una volta incontrato il grico, ne rimangono ammaliati e chi sa cosa farebbero per questa lingua. Ed è una fascinazione che non gliela togli da dosso per tutta la vita. Per cui farebbero di tutto per apprendere la lingua e la storia ad essa legata e magari qualsiasi cosa e qualsiasi persona che “sa” di grico gli sembra che cosa debba essere.

L’indomani (il medico) non passò, ma passo la monaca che lavorava nell’ospedale e mi disse:
- Alzati e vai a trovare il colonnello che ti sta spettando. E’ nel suo studio..
Mi alzai ed andai a trovare il colonnello. Quando entrai dentro, il colonnello mi disse:
- Stai tranquillo che non hai niente, ciò che ti è venuto era cosa leggera e adesso è tutto passato.
- Ma io voglio mandarti a casa in licenza perché sai il grico, pochi giorni, ma ti mando a Martano.
Così fece, mi diete venti giorni di convalescenza, ma prima di partire mi disse se potevo comprarli il libro del Rohlfs “Scavi linguistici…”. Partì ed arrivai a Martano. Era d’estate e subito presi a divertirmi con i miei amici, andando girando di qua e di là, andando al mare, insomma feci un po’ di bella vita. Ma avevo dimenticato di comprare il libro al colonnello. Mi venne in mente soltanto negli ultimi giorni e allora cominciai ad andar correndo per ogni dove, ma il libro non lo trovavo.
Mi suggerirono allora di chiedere al Professore Sicuro e così feci. Costui mi disse di chiedere alla libreia “Atena” di Galatina. Così feci, andai, chiesi, il titolare andò a cercare tra i libri e dopo un poco ritorno con il libro e mi disse: sei fortunato, questa è l’ultima copia.
La comprai ed il giorno successivo partii nuovamente per andare a Roma.
Andai a trovare nuovamente il colonnello e gli portai il libro. Questi quando lo vide si rallegro molto e mi disse: vedi, avete una lingua che non si trova da nessuna parte, c’è gente che (per quella), e mi mostrava il libro, passa la vita a studiarla, ogni parola di questa lingua vale oro, tenetela stretta, fate che non si perda.
Continuò a tessere ancora alcuni elogi verso grico e poi mi disse: tu mi sembri un bravo figliuolo, tanto mi viene di darti ancora qualche giorno. E così fece, mi diede ancora venti giorni di convalescenza. Lo ringraziai, lo salutai e andai via, ma quando ero ancora sulla porta mi disse: non dimenticare il grico. E non lo vidi più.

Alcune volte il grico paga, non diciamo più che il grico non serve. Quaranta giorni di convalescenza, tanto vale il nostro grico? Per noi, di qua della Grecìa, molte volte, molto di meno ancora.

Giuseppe De Pascalis

domenica 13 luglio 2008

GRIKO, SCUOLA ED AMORE

GRIKO, SCUOLA ED AMORE
Il 24 di Aprile si è tenuta a Martano la prima Assemblea dell’Associazione GRIKA MILUME.
Il Presidente e i Soci, anche venuti da lontano, per la prima volta si sono riuniti tutti insieme per discutere delle attività sinora svolte e di quelle ancora da svolgersi.
Tutti hanno espresso la loro opinione.
Abbiamo discusso della SPITTA: cosa scrivere, come scrivere, perché o per chi scrivere; a cosa serve oggi scrivere in grico.
Abbiamo discusso delle iniziative che l’Associazione Grika Milùme ha realizzato e delle altre che vorremmo realizzare, con l’aiuto di tutti, perché la lingua grika e le nostre radici non si perdano.
Abbiamo discusso di lingua Grika: chi ancora oggi la parla; cosa si può fare perché la lingua non si perda e per incentivare l’uso; se la Spitta è utile per salvaguardare la lingua.
Partecipavano persone esperte di griko che hanno esposto osservazioni che ci hanno fatto discutere.
Io prendo spunto da ciò che si è detto per scrivere ciò che penso sulla lingua e la scuola.
Dal 1999 c’è una legge sulle minoranze linguistiche. Questa legge, per la prima volta, disciplina le iniziative che sono consentite per salvaguardare le lingue.
Le scuole rivestono grande importanza, dalle Materne fino all’Università.
Nelle scuole è consentito l’uso del griko; nelle scuole si può insegnare il griko agli alunni nelle ore curriculari; per gli adulti (compresi i docenti di griko) si possono fare corsi pomeridiani; l’università può istituire una Laurea in Lingua e Cultura Grika.
Le scuole, avvalendosi dell’autonomia, possono istituire nuove materie, possono inserire progetti nel POF, cosicchè ogni scuola può scegliere nuove cose da insegnare agli alunni, che non si possono trattare nelle ore curriculari o che non si fa in tempo a trattare.
Invece l’Università di Lecce ha tolto il corso in Lingua Neogreca, istituita proprio per la presenza dell’area ellenofona, ed è dubbio ora se potrà essere ripristinata.
Per gli adulti le scuole non organizzano nulla; eppure molte persone vorrebbero imparare, o semplicemente parlare, il grico.
Agli alunni nelle suole si insegna il griko, ma è molto poco.
Fanno ogni anno un’ora alla settimana, per circa dieci, quindici, settimane.
Imparano vocaboli, nomi e numeri, qualche poesia e qualche canto.
Ma sul più bello, mentre stanno imparando qualcosa, il corso finisce e ciò che hanno imparato lo dimenticano.
Nelle scuole servono più ore di griko!
Ma non è solo questo.
Gli alunni a scuola devono ascoltare come si parla in griko, devono ascoltare gli adulti che parlano griko.
E chi sono oggi le persone che parlano griko?
Sono i nonni di quegli alunni che oggi frequentano la scuola.
I nonni che parlano il griko devono stare in classe con l’insegnante di griko e parlare in griko: così i bambini acquistano la consapevolezza che la lingua ancora vive, e vive proprio sulla bocca dei loro nonni, che loro ritrovano una volta tornati a casa.
I nonni devono insegnare ai loro nipoti il griko, a scuola con l’insegnante di griko, e a casa parlando con loro il griko come lo parlano quando stanno da soli marito e moglie.
Solo così forse nascerà nel cuore dei bambini l’amore per la lingua grika.
Ma non basta neppure questo.
Gli alunni devono imparare l’alfabeto greco.
Per ogni termine griko l’insegnante deve scrivere come si dice quella parola nel greco moderno e nel greco antico, scriverla con l’alfabeto greco ma leggerla secondo la fonetica del greco moderno.
Tutto ciò in ogni liceo classico si può fare, e bene.
Solo così ciascuno potrà rendersi conto che la lingua grika somiglia molto al greco oggi parlato in Grecia, ma che è molto più antica. Tanto antica che conserva parole che il greco moderno ha perduto (appìdi, pèrsiko, frèa, ampàri, ecc.) ma che si trovano nel greco antico. Come pure che ha la stessa sintassi e morfologia del greco antico.
Ma nel griko si trovano anche termini arcaici: solo nel griko diciamo umme e degghie;
nel greco moderno e nel greco antico per dire si dicono ναι;
per dire no dicono :όχι nel greco moderno; nel greco antico ου, ουχ, ουχί.
umme deriva da ουν μεν che significa: certamente;
degghie deriva da ουδέν γε che significa: per niente..
Un’ultima cosa.
Il dialetto italiano che parliamo noi nei nostri paesi e nel Salento è la traduzione dal griko.
voju cu mangiu = telo na fao
tocca cu vau = nghizi na pao
non pozzu venire = e' sozo erti
fallu cu venga = kàmeto n'arti
dilli cu non venga = pestu na min erti
ieri fici (makà aggiu fattu) quistu = ette' èkama tuo
quistu quai = tuonne'
Rohlfs ha trattato queste tematiche.

Io penso che nelle scuole agli alunni bisogna insegnare tutto ciò, ed altro.
Serve tempo, serve personale, servono finanziamenti.
Ma tutto si può trovare (anche i finanziamenti!) se vogliamo aiutare la nostra lingua a non scomparire.
Ma serve amore.
Il griko ha bisogno di amore.

GIOVANNI FAZZI

Si devono boicottare le olimpiadi di Pechino?

Si devono boicottare le olimpiadi di Pechino?

Le manifestazioni d'opposizione al regime cinese durante la cerimonia d'accensione della fiaccola olimpica a Olimpia avevano come scopo di rendere cosciente l'opinione pubblica al problema del Tibet e più generalmente al non rispetto dei diritti umani dalla Cina.
La polizia greca ha fermato parecchi attivisti tibetani e il governo ha condannato queste azioni che, come ha sostenuto, “non hanno nulla da vedere con lo spirito olimpico”.
Successivamente forte polemica ha attraversato i mezzi di comunicazione greci, perché la telecamera della televisione che trasmetteva in diretta la cerimonia ha cambiato, di colpo, senza ragione apparente, l'angolo di presa quando i giornalisti di “Reporters sans frontières” sono intervenuti spiegando una bandiera olimpica sulla quale gli anelli erano delle manette. Con questa azione, i “Reporters sans frontières”, hanno iniziato la serie di proteste che si sono susseguite lungo il percorso della fiaccola verso lo stadio Panatenaico e poi a Parigi, Londra, New Delhi, Bangkok ... fino a Pechino stesso.
Contemporaneamente si sono diffuse diverse idee che propongono, poiché la Cina non rispetta i diritti umani, il boicottaggio dei Giochi.
Gli atleti, che pensano solo a : “Ciascuno per sé e vinca il migliore”, sono opposti a queste idee.
I leader politici non sanno cosa fare, dicono che boicotteranno la cerimonia d'apertura dei Giochi, che interverranno, che consiglieranno alla Cina di diventare più democratica.
Non sarebbe meglio che incitassero gli atleti a manifestare, sul podio della premiazione, la loro opposizione e la loro protesta come avevano fatto nel 1968 a Città di Messico Tommie Smith e John Carlos alzando il braccio teso con la mano in un guanto nero mentre si suonava l'inno nazionale americano?
Non sarebbe meglio che andassero a Pechino per la cerimonia d'apertura dei Giochi per manifestare lì, durante la cerimonia, la loro protesta per il comportamento della Cina?
Non sarebbe meglio che invitassero, il Dalai Lama ad assistere con loro alla cerimonia inaugurale? Ve lo immaginate? Il Dalai Lama seduto tra Bush, Baroso, Hu Jintao e altri Sarkozy, Merkel, Zapatero, Brown, Putin ecc. salutando l'inizio dei Giochi di Pechino?
Certo che sarebbe meglio. Ma basta col sognare. Torniamo alla realtà.
L'autonomia del Tibet, i diritti umani, la democrazia non interessano né Bush né Hu Jintao né Putin né l'Europa.
Quello che gli interessa è prendere la loro parte della grande torta economica che rappresenta il miliardo e mezzo di consumatori cinesi. E la democrazia che gli vogliono presentare e offrire è la stessa della nostra : quella del diritto di consumare. Nient'altro.
Eccola la realtà: il potere cinese auspicava l'organizzazione dei Giochi per motivi e fini politici. Per la propaganda. Gli sponsor e il CIO gliel'hanno concessa per ragioni analoghe. Per il business.
Il Dalai Lama è in esilio in India.
Il potere cinese continua a imprigionare gli oppositori e a considerare il Dalai Lama fuori legge. Insiste nel dire che il problema del Tibet è un problema interno e che si piegherà.
Il potere cinese si fa sempre più duro ed attacca dicendo che “nessuna forza al mondo può fermare la fiaccola dei Giochi di Pechino”.
I cinesi boicottano i prodotti francesi perché la Francia ha diffuso le immagini della protesta.
La comunità internazionale cerca di correggere l'incorreggibile. Ma ora è troppo tardi. L'errore, l'errore madornale, è stato di consentire alla Cina di organizzare queste olimpiadi. Il resto non è altro che lacrime di coccodrillo.
Noi scriviamo a fine maggio; non si può prevedere quello che succederà fino al termine dei Giochi.
Speriamo che quando le luci della ribalta saranno spente, le misure di ritorsione e la vendetta non diventino ancora più dure nella Cina post olimpica.

Iannis Papageorgiadis

PER PROTEGGERTI... (Ja na se filàtzo)

--Per proteggerti io ho messo guardie:
sulle montagne il sole, sulle pianure l'aquila,
e alle navi il fresco vento del nord.
Ma... il sole è tramontato e l' aquila addormentata
e le navi hanno cacciato il vento del nord
e così la morte ha avuto l'occasione di rubarti.
Ma in quel posto dove vai, marito mio
incontrerai il serpente, tu luce degli occhi miei
e poi tu mi ricorderai, e ritornerai.
Dimmelo, caro mio, quando tornerai
e io spargererò rose sopra le montagne
e petali di rose sulla tua strada--
"Se tu spargererai rose, prendile in mano e senti il loro profumo
perchè io non vengo indietro, mai ritornerò.
da dove sono andato alle montagne e ai campi e in nessun luogo,
dove la madre non ha figli e i figli non hanno madre,
nè il marito ha moglie e non ci sono più incontri."

Theonia

Ti skalìzzi ti potìzzi

"buona sera, mia cara
in mezzo al tuo cortile fiorito
cosa zappetti, cosa annaffi,
non vieni fuori a vedermi?"
--Giovanotto, che ti interessa
del mio potare ed annaffiare?
Sono fiori profumati
Per colui che io amo.
"Non zappare questi fiori
pianta basilico
che se arrivano gli uccelli
o se passano gli usignoli
ti ruberanno dalle piante
i fiori ed i boccioli"
--Se mi ruberan le piante
ho altre da piantare
per zappare ed annaffiare
per quel bello che io amo-
Theonia

Costruiamo il futuro

Passeggiando nei paesi greci e non, mi sono accorto che quando vai a parlare del giornale griko e dici che vuoi impegnarti per far vivere la lingua grika, tutti si mostrano contenti, ma molti ti guardano come fossi un bambino intento in giochi di fantasia e tornano a pensare alle loro cose “serie”. Magari quelli stessi trenta anni fa credevano di poter rivoltare il mondo intero e ogni tanto andavano a menare le mani per le loro idee.
Non voglio dire che tutti dovrebbero credere nel Griko vivo, capisco che non è facile dimostrare quanto possa giovare non restare fermi a guardare il mondo che ti scorre sopra, cambiandoci la lingua, la storia, iol cuore, la testa. Però almeno sarei più felice se la gente venisse a dirmi che non può pensare al Griko perché ha in mente ideali più grandi in mente, perché è impegnato a migliorare il mondo, altro che sette paesi griki.
Sappiamo che non è così, le grandi cose che ha in mente la gente oggi sono i soldi, la carriera, una vita tranquilla, il divertimento. E questo per coloro che hanno vissuto il ’68 e il ’77 ma anche per i giovani, che vengono spinti oggi sempre più a pensare al proprio bene. Possiamo dire: meglio un popolo con la testa vuota e tranquilla del sangue versato per strada. Può essere.
Ma il sole sorge e tramonta su di noi anche se stiamo a guardarci i piedi, il mondo non sta fermo, lo spingono coloro che lo vogliono, quelli che credono in qualche idea, anche la peggiore. Oggi perdiamo il Griko, domani cosa perderemo?

Francesco Penza, Maggio 2008