lunedì 21 aprile 2008

Intervista al vicesindaco di Cutrofiano Giovanni Leuzzi

Sindaco Tarantini, dicono che è da 150 anni che a Cutrofiano non si parla più il greco. Perché, allora, avete voluto tornare di nuovo nella Grecìa salentina?


Cutrofiano, in effetti, ha perduto la lingua grika nel corso dell'800, e però tu sai che la lingua è solo una delle caratteristiche, delle emergenze della Grecìa Bizantina, che ha caratterizzato tutta la fascia centrale del Salento. Al di là della lingua che comunque permane nei cognomi, negli agnomi, nei toponimi, nei riti, nei culti, nella gastronomia, noi riteniamo di dover riscoprire per intero una identità, che per quanto mi riguarda da molti anni io considero un'identità volutamente negata. D'altra parte la lingua tu sai che, anche qualcuno dei cosiddetti comuni ellenofoni l'ha perduta esso pure, tipo Soleto, tipo Melpignano, Martignano. Corigliano è un po' più conservativa, Sternatia pure, a Martano e a Calimera stanno a metà strada, ma insomma, gli altri comuni sostanzialmente la lingua l'hanno persa, e purtroppo non è più uno strumento d'uso e non ha più quella funzione che aveva fino a qualche 50ennio, 60ennio, secolo fa, e quindi la grecità si è man mano perduta. Quindi abbiamo voluto riscoprire una identità storico-culturale, sulla quale innestare tutti i nuovi processi amministrativi, culturali, politici e identitari che, come sai, scuotono la Grecìa Salentina da un po' di anni.


Fino ad ora, avete raggiunto qualcosa di quello che vi eravate proposti, entrando nell'Unione dei comuni della Grecìa salentina? Siete un centro grande e forte, e forse avete più da dare che da prendere.


C'è il risultato di aver approfondito la conoscenza reciproca. Altro grande risultato è di essere già entrati noi in alcune progettazioni d'area, e di aver anche ottenuto determinati contributi, grazie alla cabina di regia che nella Grecìa funziona gìa da un po' di anni. E' vero che siamo un centro grande e forte, se penso che abbiamo 9'300 abitanti circa, abbiamo un territorio enorme di 5'600 ettari, abbiamo la gran parte del territorio estremamente fertile dal punto di vista dell'agricoltura, e abbiamo attività estrattive purtroppo sotto certi aspetti, abbiamo turismo, artigianato, abbiamo emergenze importanti. Noi non abbiamo né da dare e né da prendere di più rispetto agli altri. Ci sentiamo nella pari dignità, e abbiamo delle emergenze specifiche all'interno dell'Unione dei comuni, per esempio la terracotta tradizionale, per esempio il Museo della terracotta, che è monotematico e per noi importantissimo, e per esempio il borgo rurale di via Chiusa che sarà una vetrina delle produzioni e delle attività agricole. Il Parco dei fossili, d'altra parte i fossili di Cutrofiano fanno bella mostra nel Museo di scienze naturali di Calimera da moltissimi anni. Quindi abbiamo delle caratteristiche nostre, proprie, e però riteniamo che queste peculiarità vadano inserite all'interno di un processo creativo e di sviluppo dell'intera area.


Quali sono oggi le potenzialità e le vie per uno sviluppo sostenibile e culturalmente utile del territorio dell'Unione dei comuni?


Le potenzialità e lo sviluppo sostenibile, riguardano intanto un aspetto sul quale va dato merito a chi nella Grecìa ha lavorato: cioè l'aspetto della identità. La „Notte della taranta“, giusto per fare un esempio dei più abusati, ha scaricato sull'area, sulla Grecìa e sul Salento, l'interesse generale a livello nazionale ed anche internazionale. Al di là degli aspetti culturali dei quali si potrebbe discutere e ragionare, il problema è che noi dobbiamo rafforzare l'identità nostra, quindi già un primo elemento. Mantenere e rafforzare l'identità, che ha conosciuto in questi anni importantissimi sviluppi. D'altra parte, inserire nuove idee ed indirizzi. Io so di Martignano il problema del parco eolico, perché lì, un discorso comune riguardo l'energia alternativa rinnovabile, va fatto. Riguardo la cultura, le emergenze e le risorse cosiddette immateriali, lì va fatto un censimento serio e vanno messe in rete, in modo tale che il turismo, la cultura le scuole abbiano modo di fare degli interventi e delle visite che siano razionali, che siano utili, che siano profique e che siano inserite in un contesto di fruizione molto più ampio. Questa è una delle idee, e così anche l'artigianato, la tipicizzazione degli antichi mestieri, l'agricoltura di qualità e di nicchia, penso anche alle iniziative industriali di nuova generazione. Le aziende vinicole che abbiamo qui a Cutrofiano, le aziende di agricoltura biologica. C'è un lavoro enorme da fare sia sul piano delle risorse immateriali, di identità e culturali, e sia riguardo le iniziative economiche che dovrebbero rilanciare l'economia del territorio.


Il turismo può essere un'opportunità e una cosa buona anche per Cutrofiano?


Si diceva che il turismo è sicuramente un'opportunità importantissima – anche per Cutrofiano. Ma ripeto, non in un contesto di isolamento, perché nessuno degli 11 attuali comuni – io sono stato favorevole anche all'ingresso di Carpignano, quando avvenne – e Carpignano la lingua l'ha perduta addirittura prima di noi, è clamoroso che comuni vicinissimi, Martano e Carpignano, abbiano avuto percorsi completamente diversi. Così anche Galatina e Soleto, Galatina antichissimo centro della Grecìa, la lingua l'ha persa addirittura 4 secoli prima, siamo a questi livelli – Soleto e Galatina distano 2 chilometri. Quindi, ci sono fenomeni culturali straordinari, è però il turismo è certamente una delle opportunità fondamentali. Penso a tutte le emergenze anche archeologiche. Calimera, il Parco dei fossili; Galatina, i suoi musei; E poi questa grecità bizantina che ha lasciato delle tracce di straordinaria importanza. Tutto il patrimonio delle cripte, tutto il patrimonio dei culti, delle chiese bizantine in superficie. C'abbiamo un patrimonio che nemmeno noi conosciamo. Per non parlare della ipotesi di agganciarsi anche a Galatina. La fabbrica di Santa Caterina d'Alessandria a Galatina, è monumento di valore internazionale, e ricade proprio in quel periodo della grecità bizantina del Salento. C'è tutto un discorso sul turismo, e poi l'agriturismo, l'agricoltura di qualità, i prodotti tipici, c'è un mondo secondo me, che noi dovremmo avere la capacità di riscoprire e di rilanciare.


Cutrofiano è un centro economicamente molto dinamico. Pensando a questo fatto, sarebbe pensabile che Cutrofiano diventi un motore per tutta l'area grika?


Guarda io... (ride) mi viene da ridere, perché la domanda è posta in maniera intelligente, perché voi siete osservatori esterni. Noi a Cutrofiano subiamo le critiche più feroci, perché saremo un centro economicamente ormai distrutto. Quindi io rido un po' perché non mi ci ritrovo nel dibattito locale. In effetti, Cutrofiano può essere considerato un centro dinamico, è però nel corso degli ultimi anni e decenni, in una crisi molto molto pesante. L'agricoltura, la scomparsa della tabacchicoltura - Cutrofiano era il centro primario della tabacchicoltura salentina - produceva oltre 20mila quintali di tabacco. Quindi io so cosa vuol dire l'agricoltura e la tabacchicoltura che adesso è scomparsa, senza nessuna coltura alternativa. Viviamo una crisi profondissima dell'agricoltura, in un centro vocato all'agricoltura. Così l'artigianato, ed anche il commercio, Cutrofiano era famosa per le scarpe e per l'abbigliamento. Tutto questo non c'è più. Quindi c'è una crisi economica, nel quadro io ritengo generale, del sistema economico del Salento. Il Salento, secondo me, va ripensato dal punto di vista economico, perché la speranza nella produzione di nicchia, nella produzione di qualità, nell'ortofrutta, e la mancanza di qualunque ipotesi di industrializzazione, la crisi dei grandi poli economici a Brindisi e a Taranto che richiamavano una marea di manodopera salentina, e anche la crisi delle assunzioni nella pubblica amministrazione. Penso a quanti lavoravano da Sternatia o da Zollino, alla ferrovia, alle forze armate alla polizia. Non siamo economicamente più dinamici degli altri, ma viviamo le stesse contraddizioni che vivono gli altri centri. Possiamo diventare, per il territorio che abbiamo, ma anche per le professionalità e per l'esperienza industriale, possiamo diventare un attore importante nell'ambito di una ipotesi più vasta di sviluppo.


Sembra che Cutrofiano abbia un tasso di dissoccupazione più basso paragonato al resto della provincia di Lecce. Cosa fate meglio degli altri?


Anche qui accenno al sorriso di cui alla precedente domanda. Non ho studiato le tabelle relative ai tassi di dissoccupazione comune per comune. Io vedo che anche da Cutrofiano i giovani vanno via. Ho l'impressione che i studi sulla dissoccupazione forse tengono conto delle iscrizioni agli uffici del lavoro o alle agenzie del lavoro. Siamo in un epoca in cui la grandissima parte dei giovani non si iscrivono più alle agenzie e agli uffici. Per cui, io credo che anche qui abbiamo la dissoccupazione massiva, soprattutto giovanile e feminile, che hanno gli altri comuni dell'area. Quindi lo sviluppo, o è unitario, e veda coinvolte la provicia, la regione, le politiche comunitarie. Ovviamente c'è la speranza, che non essendo più il Canale d'Otranto un mare di frontiera, e quindi essendo obbligati noi ad aprire la nostra economia all'est del Mediterraneo, all'Egeo e al Medio Oriente, il Salento possa diventare di nuovo quello che era molti secoli fa. Cioè terra di passaggio, di porte, di collegamento, e quindi di sviluppo – perché questo era il Salento Bizantino, e il Salento Imperiale Romano. Era terra centrale del Mediterraneo, nel commercio tra gli stati e nei rapporti tra Oriente ed Occidente, nei rapporti tra Asia ed Europa, nei rapporti tra Africa ed Europa. Noi per esempio ci siamo gemellati con un comune omologo greco, anche per dare un segnale di attenzione a questo tipo di problematiche. Quindi io credo che, anche qui, lo sviluppo o è unitario, o non è.



Come vedete Cutrofiano e l'Unione dei comuni fra dieci anni?

Io credo che l'Unione dei Comuni della Grecìa Salentina sia organimo serio e vero, fondato su identità e su progettualità. Identità e progettualità che devono continuare ed approfondirsi. Non a caso noi abbiamo una soglia di abitanti come Unione che ci consente di entrare nei progetti e nelle programmazioni economiche dell' Unione Europea. Credo che insieme alla città di Lecce siamo l'unica realtà organizzata, in grado di captare determinati finanziamenti, determinate misure di programmazione economica. Però io vedo e credo, e per quel poco che potrò mi adopererò, affinché l'Unione dei Comuni estenda la sua attività e le sue competenze alla messa in rete dei servizi. Perché i comuni soffrono, e soffrono specialmente i piccoli comuni. Ancor più dei piccoli comuni anche i medi comuni come Cutrofiano. Soffrono ancora di più i problemi della finanza locale. Con i sistemi telematici che abbiamo oggi, la messa in rete di servizi, per esempio un unico ufficio tecnico, con un cervellone in un comune e con le diramazioni di servizio, che tratti in maniera unitaria gli aspetti dell'urbanistica del territorio, dei piani produttivi, dei lavori pubblici, i finanziamenti che arrivano dall'Europa per i centri storici, che ogni comune si spende per fatti suoi e secondo modi suoi, potrebbero, se guardiamo alla prospettiva, inserirsi in progetti unitari. In modo tale che tutta l'area greco-salentina venga riconosciuta come tale, anche attraverso le opere pubbliche, attraverso le situazioni del territorio, attraverso l'obbligo del ripristino dei muretti a secco, attraverso un tipo di edilizia, attaverso un tipo di viabilità, attraverso modalità di recupero dei centri storici che siano unitari, che siano pensate e ragionate. In modo che l'area sia immediatamente individuabile non solo per le sue emergenze immateriali – la musica, la lingua, la cultura, la gastronomia – ma anche dalle emergenze materiali. Quindi, i programmi unitari di servizi delle opere pubbliche, il trattamento del territorio, di energia, di smaltimento dei rifiuti, c'è tutta una serie di problematiche che devono portarci a sentirci sempre di più facenti parte non di un campanile, armato contro gli altri perché questo è accaduto finora, quando i nostri vecchi difendevano ognuno il suo santo, e facevano a gara per quale santo fosse più taumaturgico. Noi dobbiamo superare questa logica attraverso la riscoperta dell'identità. Attraverso la consapevolezza che conviene a tutti stare insieme. Si riscopre anche l'appartenenza ad una comune radice, ad una comune storia, ad una comune identità.

Unione dei comuni della Grecìa salentina: Si muove ancora qualche cosa nella Grecìa salentina? ('Enosi tos chorío tis Grecìa salentina: Síete 'nko...)

Negli anni 2004 e 2007 «l'Unione dei comuni della Grecia salentina» si è espasa, assistendo all'entrata del centro di Carpignano Salentino, e seguitamente a quello di Cutrofiano, tutti e due dei paesi dove oggi non si parla più il greco, e arrivando così a comprendere attorno ai 54mila abitanti.

Dietro all'Unione c'era l'idea che vengano coordinati certi servizi, e una parte delle amministrazioni del territorio griko. Il nostro territorio tanto ricco di cultura e di storia, non doveva rimanere per sempre terreno bruciato di arretratezza, povertà e fame. La cultura, la lingua greca otrantina e l'ellenismo del territorio, potevano aiutare a dare respiro ad un grande progetto di turismo culturale.

La Grecìa salentina, come entità giuridica e come minoranza linguistica storica, secondo la Legge per le minoranze n° 482 dell'anno 1999, ha diritto di ricevere delle sovvenzioni regionali ed europee, sempre per l'attuamento di varie misure a difesa della lingua grika. Dopo la nascita dell'Unione dei comuni, nei paesi della Grecìa salentina si è assistito ad una lunga fase di sviluppo, ma prevalentemente nei settori del turismo e dello spettacolo, grazie all'emergere di strutture per la ricettività come i Bed&Breakfast (B&B), al prender piede del „fenomeno taranta“ come la «Notte della Taranta», la «Passione d'Arte» e parecchie altre.

Oggi nel 2008, sembra che sia sopita quella voglia di griko e di Grecìa Salentina che c'era nel 2001, e che non si muova più tanto parlando di griko. O mi sbaglio, e tutto è stato solo una bolla di sapone, che con il tempo è scoppiata? Cosa fa l'Unione dei comuni per insegnare la lingua grika ai bambini nelle scuole, nell'istituzione che sarebbe capace di cambiare la sorte di questa lingua? Quali vantaggi ha portato al griko la Legge n° 482/99, o è rimasta questa legge comunque solo carta straccia? Che succederà adesso che sono entrati a far parte dell'Unione anche Carpignano Salentino e Cutrofiano?

Chiediamo a tre sindaci che dovrebbero saperne di più di questi temi. Si tratta di Cosimo Marrocco, sindaco di Carpignano Salentino, del sindaco di Cutrofiano Aldo Tarantini, e del sindaco di Melpignano Sergio Blasi. L'ultimo è uno dei padri dell'Unione dei comuni, l'ideatore del Festival Notte della Taranta, e uno di quelli che conoscono bene i meccanismi dentro all'Unione.

La vecchia (E vecchia)

Una sera mi ritrovai in piazza a Martignano con Narduccio, un signore che parla grico dalla nascita, parla grico a casa con sua moglie, con quelli che ancora lo parlano ed anche con me quando ci incontriamo.
Era febbraio e faceva molto freddo.
Mi chiese: - Tu sa cos’è la VECCHIA?
Io gli dissi: - Si, sono le ultime giornate di febbraio, quando fa molto freddo e il tempo è brutto.
E lui di nuovo: - Ma la VECCHIA sai cos’è?
E io recitai il proverbio: - PRESTAME DOI GIURNI FRATE MARZU CA VITI A STA VECCHIOTTA CE LI FAZZU, CA SE LI GIURNI MEI LI TENIA TUTTI FACIA CU QUAJA LU VINU INTRU ALLE VUTTI.
- Ma tu la Vecchia l’hai mai vista?
Io rimasi un po’ sovrappensiero e gli risposi: - No.
Ci salutammo e finì lì.
Ma mi era rimasta in mente quella domanda e non capivo cosa lui volesse dire: se io avevo mai visto la Vecchia. Mah!
Io sapevo che il proverbio recita così perché il mese di febbraio è di 28 (o 29) giorni non di trenta o trentuno come gli altri. E dice così, chiedendo in prestito due giorni al mese di Marzo, perché in quelle ultime giornate fa sempre molto freddo: se Febbraio avesse trenta o trentuno giorni come gli altri mesi, potrebbe fare ancora più freddo, tanto da far rapprendere il vino nei barili.
Io sapevo anche che non è possibile che il vino si rapprenda: l’olio può coagulare per il freddo ma il vino no.
Ma la Vecchia non l’avevo mai vista!!
Dopo alcuni giorni incontrai di nuovo Narduccio e gli chiesi:
- Ora dimmi cos’è la Vecchia!
E lui cominciò a raccontare:
- Ero bambino di sei anni e andavo sempre a lavorare in campagna con un mio zio, lo zio Luigi.
Erano gli ultimi giorni di febbraio, faceva molto freddo e il tempo era brutto. C’era pure la neve sui campi, e andammo a piedi per fare una certa cosa verso “Chiccu Rizzu”.
Pian piano, camminando sulla neve, giungemmo sui Murghi e da lì alla masseria di Chiccu Rizzu.
Mio zio vide che io tremavo per il freddo e mi disse: “Ora prendiamo la Vecchia!”
E ridendo cominciò a dire, ad alta voce: “PRESTAME DOI GIURNI FRATE MARZU CA VITI A STA VECCHIOTTA CE LI FAZZU, CA SE LI GIURNI MEI LI TINIA TUTTI FACIA CU QUAJA LU VINU INTR’ALLI VUTTI.”
E chiamò: “ Gaetana, apri, fai vedere la Vecchia al bambino.”
E lei “Si, entrate a casa che ora arriva. Aspettate un poco.”
Io un po’ mi spaventai, ma seduto davanti al fuoco, sotto il camino, aspettavo di vedere la Vecchia.
Dopo un po’ mio zio: “Gaetana, ancora deve arrivare la Vecchia?”
E lei: “Si un altro po’ di pazienza, ora arriva.”
Dopo un poco la zia Gaetana ci chiamò e disse: “Entrate qua dentro che la Vecchia è pronta.”
Ci portò nella cucina dove c’erano due grandi pentole piene di RICOTTA, tanta ricotta calda e morbida.
E mi disse: “Tieni Narduccio, piccolo mio, vieni, questa è la VECCHIA: mangiala calda calda, che oggi il tempo è proprio brutto: sono i giorni della Vecchia.”

Il nostro Griko è morto? Riposi in pace. O grìcomma pèsane? Rifrìsco n’achi

E noi che scriviamo in Griko, siamo morti? Voi che leggete siete morti?
È morta la nostra lingua e siamo rimasti orfani di madre? Noi che siamo rimasti, chi siamo? Di dove siamo? Di Roma? Di Milano? E che Griki siamo se non parliamo più la lingua grika?
E i nostri figli chi li ha partoriti? Non sono più Griki? A che ci serve di andare a cantare in Griko per il mondo e poi dire che qua da noi il Griko è scomparso e non dobbiamo parlarlo?
Perché dunque ci dicono Greci Salentini? Il canto griko va insieme al parlare griko. Che facciamo: cantiamo senza capire che diciamo? Il Griko ha perso le parole? Ci sono le parole! Karanastasis ha contato 2500 parole grike! E non c'è nessuno che prende e cerca soldi per poter tradurre in italiano il libro che ha scritto, sul nostro popolo, prima che muoia! Ha scritto sulla cultura e sul lessico che avevamo e che abbiamo ancora. Le parole le abbiamo, ripetiamocelo! Il nostro vecchio prete, quando i calimeresi entrarono per la prima volta nella chiesa nuova per festeggiare, parlò in griko a tutti! La chiesa era così piena che non conteneva più nemmeno uno spillo, e don salvatore ci parlò in Griko. Disse che per sessanta anni a Calmiera ha parlato e confessato in Griko. La gente fino all'anno scorso, gli parlava in Griko e gli diceva tutte le pene in Griko. E quel prete le diceva in Griko tutte le consolazioni. E anche adesso - il 17 febbraio - la gente ha capito il proprio parroco che parlava in Griko in chiesa. E allora chi ha perso la nostra lingua? L'ha persa chi ha voluto che scomparisse. Coloro che credono di essere diventati grandi a Bologna o Milano, e non venuti a mangiarci la pelle, come fanno i milanesi, che costruiscono strade, alberghi e villaggi turistici sulla nostra terra: là dove la nostra gente non può entrare sennò paga. Vogliamo la nostra lingua, vogliamo le nostre parole, vogliamo imparare di nuovo quello che abbiamo dimenticato!
A scuola, il Griko deve tornare con più grazia! Con le canzoni italiane dobbiamo imparare anche quelle grike. I ragazzi che sono al liceo classico devono imparare come la nostra lingua si è evoluta dal greco antico. Noi non siamo una colonia, siamo Grecia. Di queste parti erano Archimede e Pitagora. In Sicilia è morto Eschilo, che era venuto a mostrarci la tragedia greca. E allora, perché dobbiamo vergognarci di parlare la lingua più importante del mondo? Non capiamo che è un peccato? Lo capivano a Bruxelles e non lo capiamo noi? Chi sono quelli che ci dicono che è morto il nostro Griko! Fanno come la civetta? E se è morto perché devono darci milioni di euro? Solo per le nostre radici? Tutti hanno radici, ma non gli danno quattrini per questo. Noi scriviamo in Griko perché sappiamo che ci sono molti che possono capire. La Spitta scrive in Griko per parlare a chi vuol capire! Voi che ci ascoltate e capite, aiutate la nostra lingua a vivere nei paesi! Non credete a chi ci dice che è morto e neanche lo piange, anzi balla e suona! E ci riempie la testa e ci chiude la bocca per sempre! Adesso parlano i bambini che non sanno ascoltare più niente dalle proprie radici.
Abbiamo un giornale che ci parla in Griko da un anno! Non fateci tagliare la lingua che ci hanno parlato i vecchi. Per questo abbiamo fatto la Spitta, per questo vi chiediamo di aiutare la Spitta.
La Spitta ci fa evitare di dimenticare le parole, la tradizione e le radici che abbiamo ed avete anche voi. Questo germoglio che ci è rimasto, dobbiamo nutrirlo! La Spitta la scriviamo per quelli che il Griko lo sanno o vogliono impararlo (molti giovani di ora lo capiscono bene anche se non lo parlano). Tanti girano il mondo per trovare l'oro. E quale oro è più bello della nostra lingua?
La poesia l'abbiamo sulla nostra bocca e nell'anima. Non buttiamo il bambino con tutta l'acqua sporca. Il Griko ha bisogno di aiuto. La nostra vita ha bisogno di aiuto. Non facciamoci una tomba prima di morire. Chiamate il dottore! Scrivete sulla Spitta! È arrivata Pasqua anche per la nostra lingua, Pasqua di resurrezione!

Il tempo della vita (O cerò a' tti zoì)

Ero ancora una bambina.

Con gioia e allegria mi aprivo alla vita

mio padre era il re

mia madre il sole caldo;

mi hanno insegnato a vivere e ad amare

il bello, il bene e non il male

ad aiutare il prossimo con gioia.

Saggio era il loro sapere

dolce la parola

che ogni giorno mi consolava

al ritorno del loro lavoro (nei campi).

Così le cose belle (piano piano) cadono nell'oblìo del tempo

e niente e nessuno torna indietro nel suo cammino

io ti prego o tempo fermati un po'

fammi tornare bambina!

Esaudisci il mio desiderio:

fa che io guardi il viso dei miei genitori

affinché avverta (ancora) il profumo del loro amore

e possa io baciarli per l'ultima volta.

Mi rispondi che non hai voglia di far cosa gradita

il tuo freddo cuore non raccoglie (neanche) le preghiere

perché tu sei nato con il fare di un mago

ed ovunque tu passi tutto chiudi per sempre a chiave.

Se all'improvviso la legge del tempo dovesse mutare

e tu decidessi di abbandonare l'arcolaio della vita

ricordati che io sarei ben felice di aspettare.


Inedito,

-Pulimeno Giovanna, Corigliano d'Otranto-

Quante tessere ci vogliono per restaurare il mosaico del Grico? (Posse tèssere teli na stiastì to “mosàico” tu Grìcu?)

Quando una persona vuole apprendere la lingua greca otrantina oppure vuole aggiungere qualcosa alle poche parole griche che ha imparato dai genitori, va ad aprire uno dei vocabolari di grico. Ma lì spesso non trova le parole che servono e finisce per pensare che la lingua grica è così messa male che non riesce pù a comunicare nulla.

Uno degli studiosi che si sono occupati di grico scrisse una volta che il grico è come un mosaico che ha perso molte tessere e si è rovinato.

Coloro che hanno scritto vocabolari hanno agito come per conservare questo mosaico rovinato in un museo, lo hanno ripulito ben bene in modo da far risaltare solo le parole veramente “greche” di questa lingua. Ma ripulendo ripulendo hanno buttato via tutte le parole latine venute dal dialetto romanzo che erano comunque tessere dello stesso mosaico.

Prendiamo ad esempio parole come “piacèo” e “fiùro”. Possiamo dire che sono parole prese a prestito dal dialetto romanzo. Ma sono nella lingua grica da chissà quanti anni, di certo più di centocinquanta.

Poi ci sono anche le locuzioni come “èrchete sto pì”, “canno sto dì”, che non si trovano nei vocabolari e sono necessarie per parlare.

Non voglio prendermela con coloro che hanno fatto i vocabolari, hanno lavorato bene e dobbiamo sempre ringraziarli. Voglio dire che questi vocabolari sono fatti per la scienza, per la glottologia, per quelli che vogliono studiare questa lingua, non per quelli che vogliono parlarla. Sono fatti per una lingua morta, non per una lingua che ha vita e si parla. Quando vuoi imparare una lingua straniera trovi nel vocabolario come tradurre tutte le parole della tua lingua. Con il grico non ce la fai, ed io credo che non è colpa sua.

Coloro che parlano bene il grico sanno e ti dicono che con il grico puoi dire tutto. Molte tessere le possiamo ritrovare negli scarti puliti via dalla lingua e dai vocabolari.

Però qualche tessera manca davvero nel grico, oggi la gente parla di cose che non entravano mai in conversazione cento anni fa: medicina, sport, economia, legge, politica… la tela del mosaico si è allargata e nessuno ha messo tessere nuove per non lasciare spazi vuoti.

Non c’è lingua che sia nata piena di parole adatte ad ogni tempo e ad ogni luogo, tutte le lingue si arricchiscono ogni giorno con neologismi. Ogni tanto una parola nasce dalla bocca della gente, ogni tanto nasce dall’idea di qualcuno che lavora in una nuova disciplina, ogni tanto una parola viene importata dall’estero e queste nuove parole vengono raccolte dagli studiosi e messe nei vocabolari: si sentono in televisione, si leggono nei giornali e sembra come se ci fossero state sempre.

Così poteva succedere anche per il grico e qualcosa si era mosso già: qualcuno ha iniziato a dire “dìsculo” per difficile, “dulìa” per lavoro a Sternatia, nella mailing-list Magna Graecia avevamo discusso se chiamare “cinetò” il cellulare. Ma queste parole sono morte appena nate percè nessuno le ha raccolte, scelte e messe nel mosaico per farle apparire come parte integrante della lingua. Abbiamo voluto tenere il grico sotto vetro, perché apparisse come specchio del mondo antico. E adesso chi vuole parlare di altro che vita di paese, altro che affari di campagna finisce per restare senza parole, oppure se è capace, riempie la conversazione di parole italiane e si sente insicuro, come se camminasse al buio. Non mi è capitato di vedere il “telegiornale” in grico che hanno fatto nella Grecìa Salentina, quelli che l’hanno visto mi hanno detto sempre che era una cosa ridicola, che non era grico e infine la grande bugia: che il grico non è adatto per queste cose.

Certo, forse coloro che lo facevano non erano bravi a parlare grico come i nonni, ma può essere anche che il grico non riesce a camminare bene quando viene portato fuori dal recinto dove lo abbiamo lasciato e lo vogliamo sempre tenere, come una persona rimasta allettata per un anno. E’ facile ridere del telegiornale grico, ma meglio faremmo ad aprire quel recinto, ad aiutare il grico ad alzarsi dal letto dove lo abbiamo abbandonato e a raccogliere le tessere per riparare il mosaico.

Adesso ci sono le “Unioni di fatto” (Arte èχi e”Unioni di fatto”)

Nota: quella che segue è una traduzione il più possibile letterale. Anche la costruzione sintattica propone nei limiti del possibile quella del testo grico.

Ni: Nina; Na: Narduccio; Gi: Giuseppe.


Adesso ci sono le “Unioni di fatto”

Unione di fatto”. Così si dice quando due vivono insieme senza essere sposati. Il più delle volte si tratta di un uomo e di una donna, ma qualche volta puoi trovare uomo con uomo e donna con donna. Non stiamo qui a vedere se è bene o è male, possiamo soltanto dire che, al di fuori di qualche prete o qualche bigotta, non importa a nessuno.

E’ possibile che queste cose sono sempre esistite, ma fino a pochi anni addietro prima di sposarsi si dovevano seguire alcune regole.

Questa che vi racconto è la storia di Narduccio e di Nina da quando si fidanzarono fin quando non si sposarono.

Per prima cosa l’uomo doveva “mandare” alla donna. Per questa cosa molte volte era utile il “mandatari” che portava l’ambasciata.

Ni: mentre stavamo al mercato per scegliere un abito a mio fratello disse questi:

io ho una ambasciata per te.

Dissi io: dimmi chi è che mi regolo. Per dirmi, per dirmi, disse che era per lui stesso.

In mezzo c’è sempre un altro

Io stavo volendo un altro, ma non mi piaceva molto, che non era neanche martanese.

Dissi io: se mi dai otto giorni di tempo per litigare con lui, per trovare un’occasione, che stare con due non lo volevo mai.

Combinazione quella sera pioveva e non venne affatto quello di Carpignano. Io trovai l’occasione e quando venne il domani sera gli dissi: dove sei andato ieri sera, .. qui, la … e lo mandai. Lui piano piano andò via.

Questi neanche diete tempo otto giorni, dopo due sere venne. Beh! Cosa ti ha detto, domando. Allora piano piano gli dissi di sì e iniziammo così. A candelora si svelo ai miei pensieri, e continuammo sempre così. Continuammo per tre anni e mezzo.

Poi questo avrebbe voluto sposarsi. I miei non volevano affatto e piano piano eravamo entrati un poco, non in astio, ma i miei invece di amarlo lo odiavano.

Gi: perché?

Ni: perché questo voleva sposarsi ed essi si regolavano di non essere pronti. Prima ci dissero di si, che avrebbero visto quando sarebbe arrivata la buona stagione.

Na: ci dissero: ci dai un anno di tempo e così vedremo.

Ma qualcosa può sempre andare storto

Suo fratello, nel corso dell’anno corrente, quando mi dissero così, non voleva (non era fidanzato) nessuno. Durante l’anno trovò la fidanzata ed essi volevano sposare prima quello (il fratello) che era più anziano, che questa che era più piccola.

E tirammo avanti così: lui voleva la fidanzata ed io questa. Ma noi contavamo che l’anno venturo ci saremmo sposati.

E Leonardo non voleva perdere tempo

Quando passarono sei, sette mesi gli ho detto a loro: “nunna” Assunta, “nunno” Pati, perché allora così venivano chiamati i genitori, come avevamo detto l’anno scorso, che era entrato l’atro anno no!, non lo avete a piacere che io porti i miei per parlare di quando ci dovete sposare?

Ma una cosa se deve andare torta, stai tranquillo che andrà.

Ah!, disse mio suocero, avevamo detto così, ma adesso si vuole sposare Ntoni, come faccio a sposarvi entrambi?

Ma Leonardo ha le sue buone ragioni.

Dissi io: se quello non si sposa mai, io devo sempre aspettare? Insomma partimmo così.. che poi quando gli dissi che avrei portato i miei, mi dissero: portali quando vuoi, con tanto piacere, ma non per fare questi discorsi di matrimonio.

Dissi io: e allora i discorsi di matrimonio quando li facciamo?

Ma anche il suocero aveva filo da tessere.

- Eh!, che vi mangiano gli anni!, disse mio suocero. Che poi egli si era sposato di trentadue anni, per (via della) guerra, quella, mia suocera era di ventotto.

Ancora, non vi mangiano gli anni! Potete aspettare un altro poco!

- Ma io, dissi io, tanto che aspetto, tanto che non aspetto, chi devo aspettare che mi mangino gli anni o stare con tua figlia e fare una famiglia anche io?

  • Eh! Non può essere, qua.. la…

Erano (passati) quasi quattro anni e non avevamo mai litigato.

Ma adesso mettete attenzione..

Allora mi mettete in condizione, dissi io, di prenderla, di portarla via, di fuggirla!

Ma gli disse proprio così?

Ni: non gli hai detto così, gli hai detto: io a litigare con quella, con tua figlia, non litigo. Voi non mi sposate, ditemi voi come la devo combinare!

Essi intuirono il nostro pensiero e dissero: fate come volete! Ma da quel momento in avanti quando arrivava dentro casa non lo salutavano e non gli dicevano neanche siediti. E tu cominciasti ad alterarti e dire: così non continuo più!

E allora..

Quelli si comportarono in quella maniera e allora fu necessario dunque, per tagliare corto, che dopo andammo via.

Ma poi dovevi ritornare!

Na: adesso dovevamo ritornare, vai ad entrare lì dentro (in casa dei suoceri) più! Dopo due sere ritornai io e bussai:

  • Chi è, disse mia suocera?

  • Dissi io: Leonardo!

  • Non c’è permesso per nessuno!

  • Buonasera! E andammo via.

Ma le cose sempre che si devono accomodare.

Dopo quattro sere, bah!, disse mia madre, adesso vengo io per vedere cosa dicono.

Andammo, andò lei, busso:

  • chi è?

  • La Concetta, disse mia madre.

  • E con chi vai? Disse quella da dentro.

  • Beh!, disse quella, da sola non vado, vado in compagnia.

Ella era entrata nel letto. La buon’anima di suo padre venne ci apri, entrai io per primo,

Sempre si dipana la matassa, Dice Domenicano Tondi. Ma sempre che devi chiedere perdono!

Lo abbracciai, lo baciai: perdonaci! Lui mi disse chi vi perdoni Dio. Poi andai da sua madre ed anche dissi perdonateci. Poi entrò questa, mia moglie, e mia madre. Quando questa bacio suo padre le disse la stessa cosa.

Le donne sono sempre più selvatiche.

Quando andò da sua madre, che già era entrata nel letto per dormire, invece di perdonarla la prese per capelli.

Vai piano adesso. E’ sempre tua figlia, ma è anche mia moglie!

Dissi io: che io qui dentro non sono venuto per picchiarci, per darcele! Siamo venuti perché ci perdoniate. Se volete, ci perdonate, altrimenti prendiamo la strada e andiamo via!

Ma la matassa si dipana sempre.

Poi la mia madre nuovamente.. piano piano poi.. la presero un po’ così, ma poi si calmarono. Le passammo, insomma, però ..

Mia Figlia non sta con noi, lavora lontano. Quando venne l’altra volta venne con uno, il suo amico, disse. C’è diverso tempo che vivono insieme (unioni di fatto). Io non sapevo niente, sua madre forse. Non domandò perdono lui, non cercò perdono lei. Quando ripartì di nuovo chiese qualcosa che ciò che guadagna molte volte non le basta a passare il mese.

Gi: quanto tempo vi siete amati? (siete stati fidanzati):

Na: circa quattro anni scarsi, tre e mezzo. Era il giorno della Candelora del 49 fino il 18 di novembre del 52, che poi siamo fuggiti.

Ni: poi aspettammo quattro mesi che allora per farti quei quattro pezzi, il mobilio, lo dovevi ordinare, lo faceva il falegname. Era inverno e diceva che non si seccavano bene le tavole. E passarono quattro mesi. Il 15 di marzo, poi, ci sposammo. Io avevo 23 anni e lui compiva 25 il 18 di novembre.

Gi: il primo figlio?

Ni: siamo andati piano. Allora era una vergogna, era brutto sposarsi e andare con la pancia, allora demmo tempo di sposarci prima. Ancora anche dopo che ci sposammo aspettammo che passasse un po’ di tempo.

Na: dopo quattro mesi che ci siamo sposati allora uscì incinta.

Anche mia figlia è incinta. Non è sposata e per adesso dice che non si sente di sposarsi. Adesso le comincia a notarsi la pancia, ma grazie a Dio, non è più una vergogna, non è brutto e non c’è niente da vergognarsi. La gente che lo sa ci chiede se siamo contenti. Siamo tutti una gioia. Veramente.

Libro sulla Grecia attuale e pistacchi da Pechino (Βιβλίο για τη σύγχρονη Ελλάδα και φιστίκια από το Πεκίνο)

Nel mese di agosto del 2007 è stato pubblicato il primo libro cinese sulla Grecia moderna.

In 428 pagine la professoressa e ricercatrice, dell'Istituto di Studi Europei dell'Accademia Cinese delle Scienze Sociali, Song Siaomin promuove la storia, il sistema politico, l'economia, la cultura, il turismo ecc. della Grecia di oggi.

Nella sua prefazione, il ministro Theodoros Roussopoulos mette l'accento sul fatto che questo libro “viene a rinforzare i legami di amicizia e di rispetto esistenti tra le due nazioni specialmente perché esce in una gradevole coincidenza. L'Olimpiade di Pechino succede all'Olimpiade di Atene, mentre la Grecia offre molte nuove ragioni per essere riscoperta, per essere amata e rispettata”. (I Kathimerini 18/01/08).


Il quotidiano 'TA NEA' (29/01/08) scrive che dal mese di aprile 2006 quando si è aperta la linea marittima diretta per il commercio tra Grecia e Cina, le importazioni dalla Cina sono aumentate non solo in quantità ma anche nella loro varietà. Tra il milione di tonnellate di prodotti alimentari (aumento del 30 – 40% dal 2005) arrivati in Grecia nel 2007 c'erano 7,5 tonnellate di conserve ... dolmadakia (n.d.t. involtini di foglie di vigna farcite), 113 tonnellate di pistacchi di ... Egina, 22,5 tonnellate d'aglio, 33 tonnellate di origano, 28 tonnellate di spezie, 2.765 tonnellate di fagioli ... ecc.


Si vede che lo spirito imprenditoriale e produttivo dei cinesi non si limita ai tessuti e la “roba da dotte” ma si adatta alla cultura, alle abitudini e ai bisogni di ogni popolo.


-Iannis Papageorgiadis-

L'impronta ecologica (Οικολογικό αποτύπωμα)

L'impronta ecologica misura l'impatto lasciato sull'ambiente da ciascuno di noi per soddisfare i propri bisogni in campo di nutrizione, mobilità ed abitazione. Tale impronta si esprime in ettari, di superficie terrestre, pro capite.
Si valuta che ogni europeo utilizza, oggi, una superficie di quasi dieci campi da calcio.
Se togliamo dalla superficie totale della terra i mari e la superficie necessaria alle altre specie viventi, e dividiamo il resto per sei miliardi (sei miliardi rappresenta la popolazione attuale della terra), troviamo che ad ogni europeo spetta una superficie di tre campi da calcio.
Dunque, se tutti gli abitanti della terra vivessero come gli europei, avremmo bisogno globalmente, per vivere, di tre terre. E si presume che nel 2050 saremo nove miliardi di esseri umani.
Conclusione: o diminuiamo le nostre pretese o diminuiamo la popolazione della terra.

Le rossa uova pasquali (Ta rodinà agguà tu paska)

Per i cristiani, l’uovo rosso di Pasqua vuol significare , dice la Chiesa, il sangue di Cristo che si sacrificò per salvare tutta l’umanità.
Ma , prima di Cristo, credevano nella forza dell’uovo, e a livello folcloristico era inteso come medicina che dava salute e rinascita, fertilità e nuova vita.
Anche oggi, in molti paesi, l’uovo si trova al centro di cerimonie per risolvere molte cose: conoscere il futuro,avere una buona stagione,per compiere una buona semina e per togliere il malocchio ai bambini.
Gli antichi pensavano che sotto l’universo ci fosse un uovo che, quando si ruppe in due, nacque il Cielo e la Terra. Ma con l’arrivo del Cristianesimo, tutte le antiche credenze cambiarono nome. Ora l’uovo tinto di rosso è uno dei cibi caratteristici della Pasqua che viene alla mente e non solo la resurrezione di Cristo, ma anche il risveglio della terra e l’arrivo della primavera.

-Theonia-

Il primo maggio (Protomajà)

Maggio viene con fiori selvatici e copre i campi di colori rossi,gialli e bianchi e la gente con gioia, e buon umore festeggia di nuovo la primavera. Il primo del mese di Maggio, “protomaìa “ in Grecia, è il “giorno dei fiori” in molti luoghi della terra che festeggiano come i vecchi tempi; migliaia di anni fa. Fanno festa con canti e fiori per dire” buon arrivato” alla bella stagione, dopo il lungo e scuro inverno. Il nome “ Maggio” deriva dalla dea Màia, che appellavano”buona madre” che nella mitologia si identifica la madre di dio Mercurio.

Nell’antica Grecia “ta anthestèria” che vuol dire fiori, festa della primavera, la gente andava in campagna per festeggiare e onorare i dii. Anche nell’antica Roma nei “ floràlia” onoravano “Flora”, dea di fiori e dell’amore e dove i giovani ornati di fiori andavano in processioni cantando.

Pochi anni orsono, in molti paesi dell’Italia del nord,festeggiavano suonando e cantando “il maggio” per le strade e sotto le finestre facevano serenate alle amate. Così recita un canto antico:

“Guarda gli uccelli che van per la riviera, maggio di primavera.
Dentro questa casa se gh'ê fiorì la fava ci sta una donna brava,
dentro questo giardino se gh'ê fiorì la rosa ci sta la mia morosa...”.

A Gallipoli, nel Salento, il primo di Maggio,nel calendario greco-bizantino era il giorno dedicato al santo Mauro: la gente arrivava dai paesi vicini e lontani e dalle masserie per ascoltare la messa in onore di santo Mauro; ancora oggi esiste la piccola chiesa al suo nome dedicata. Vi era anche una grande fiera, fuori da la chiesa, dove contadini ed artigiani vendevano le loro cose; così ha documentato il vescovo di Gallipoli,monsignor Cybo nel 1567. La stessa fiera era denominata “Lu Màsciu”fiera del Maggio,era anche il giorno dove i giovani e le ragazze si scambiavano i cesti fioriti e colmi di doni, come promessa di matrimonio. E la fiera di maggio è legata con l’arrivo della primavera,con fiori, frutti e l’augurio di fertilità per la terra e per l’amore.


La “proto-magià” si festiggia in tutta la Grecia. A Rodi, nel Dodecaneso, dove le donne si raccolgono la mattina prima del sorgere del sole, e lavano con acqua chiara il cortile della loro casa pel cacciar via tutti i mali e per avere un buon maggio. Le ragazze vanno dal mattino, per i campi, con i panierini colmi di cibarie, formaggio, uova bollite e dolci per raccogliere i fiori per formare la loro corona. Dopo che mangiano e si devertano cantano Così.:

“Protomaià e fiùri jortìzun
ce ta puddhìa in agàpi-to fanàzu
travudùn ce lene to Mài pànu sta clàri … » .

Passato il mezzogiorno, le ragazze tornano in paese e d’appendono sulla porta della loro casa la corona di fiori dicendo:” abbiamo preso il Maggio e lo abbiamo portato in casa nostra”. La corona rimane appesa lì fino al giorno di san Giovanni, il ventiquattro (24)di Giugno,il giorno in cui si accendono grandi falò sui quali bruciano anche le loro corone ormai appassite.

Uomini e figli giocano ridendo e saltando sul fuoco; dicono che così tutti i mali e le brutte malattie fuggono dal loro corpo.

Processione con fiori e canti, come nell’antichità, fanno ancora nell’isola di Cipro, dove la festa si chiama “anthestìria”.

La nuova “festa del lavoro” in molti luoghi si festeggia il primo di Maggio: a Chicago, negli Stati Uniti nel 1886, i lavoratori manifestarono per la durezza del loro lavoro, per poter ottenere condizioni lavorative più umane e con minor numero di ore.

Oggi però, in America, il primo di Maggio si festeggia con fiori e canzoni ed il giorno dei lavoratori si festeggia il tre (3)di Settembre.

-Theonia-

Il pianto della madonna (O clàma tis Panaghìa)

Oscure, terribili parole e triste il giorno

ch’ è giunto oggi per me: che è tanto amaro!

Io che ebbi la gioia di dar la luce al Sole

in mezzo agli animali in una buia stalla!

Albero d’oro germogliò l’amato Figlio mio;

con i dodici suoi rami la terra avea protetto!

Gialle son’ or’ le foglie e si son rotti i rami

e il pozzo ha perso l’acqua: tutto si è rinsecchito!

Cinque chiodi ficcarono sopra il figliol diletto :

quanto male gli fecero, l’anima tanto duole!

Oh, grande Croce santa, e legno benedetto,

che reggi appeso a te l’Onnipotente,

dall’alto scendi giù, perché voglio baciare

il Dio, sommo Poeta che voglio salutare!

Spezzatevi montagne del mondo, e si rabbui il cielo;

Uomini, versate lacrime sul fuoco del mio cuore!


-Theonia Diakidis-